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Gli eventi e il mito

Giuseppe Bellini





Che dire di questo terzo romanzo, o «cantare» epico, del peruviano Manuel Scorza? Il lettore rimane dapprima disorientato, ma poco a poco gli si chiariscono le direttrici sulle quali si svolge il racconto, e ne gusta la bellezza.

Il pubblico di lingua italiana ha avuto modo di leggere le due prime opere della serie, Rulli di tamburo per Rancas e Storia di Garambombo, l'invisibile, entrambi pubblicati, come Il cavaliere insonne, dall'editore Feltrinelli, che promette anche la pubblicazione degli altri volumi successivi. Un vivo interesse ha accompagnato, in Perù e nei paesi dove i libri di Scorza sono stati tradotti, l'apparizione di questo singolare narratore, vigorosamente inseritosi nella corrente di protesta indianista, che al romanzo peruviano ha dato scrittori come Ciro Alegría e José María Arguedas, ma con l'originalità di un apporto fantastico, o «magico», che neppure Mario Vargas Llosa ha saputo dare, legato com'è al realismo. Per tornare alla corrente di protesta indianista, noteremo che l'Alegría, con El mundo es ancho y ajeno («Il mondo è grande e degli altri»), e l'Arguedas, con Todas las sangres («Tutte le stirpi»), inseriscono autorevolmente l'istanza di giustizia nei confronti delle popolazioni emarginate, nella gamma più vasta del romanzo latino-americano, l'uno con la visione di un mondo di valori incontaminati, contro il quale si accanisce il sopruso, l'altro prospettando un futuro, se non di autonomia del mondo indio, certo di felice integrazione, attraverso il riconoscimento delle qualità concrete dell'indigeno, nella società castiglianizzata. Da parte sua il Vargas Llosa, sia in La ciudad y los perros («La città e i cani»), sia in La casa verde, pur non prendendo a tema principale l'emarginazione india, ma l'avaria della società peruviana nel suo insieme, scolpisce duramente una situazione abnorme, nella quale l'uomo ha finito di essere tale, sia esso vinto o oppressore.

La Scorza invence non si limita a una documentazione appassionata, dolente, speranzosa o crudele; il suo modo di scrivere, di «armare» il romanzo, si avvale delle esperienze più valide del «magico» -e qui il magistero di Gabriel García Márquez è evidente, quello dei Cien años de soledad («Cent'anni di solitudine»), per intenderci- prospettando da un tempo remoto, pienamente attualizzato, ma aperto a nuovi apporti cronologicamente ordinati, la situazione di ingiustizia in cui si consuma un popolo, la Comunità di Yanacocha, simbolo del Perù indio, ostinatamente attaccata alla propria terra, sostenuta nella lotta dalla certezza del proprio diritto.

Un confuso affastellamento di eventi -confusione voluta per accentuare il magico- incrocia le sue scene nel libro e rende un duro progredire umano nell'ingiustizia, mai nella sottomissione. Pagina dietro pagina si costruisce l'epopea di un popolo nella secolare lotta, ancora inconclusa. Neppure la riforma agraria, intrapresa nel 1968 dalla Giunta Militare salita al potere in Perù, raggiunse positivi risultati. I fatti narrati, avverte l'autore, appartengono tutti alla dura realtà di una storia dolorosa, quella appunto della Comunità citata. Il tono epico va accentuandosi a poco a poco e si completa nella fusione col mito, rappresentato dall'insonne personaggio, don Raimundo Herrera, che sembra prolungare la sua vita dal lontano 1711, anno in cui la corona spagnola riconobbe la proprietà della terra alla Comunità di Yanacocha con titoli ufficiali. La subdola, e non di rado violenta, lotta dei latifondisti per carpire tali titoli e impadronirsi delle terre, è documentata dalle vicende della Comunità. Ma il mito sta in veglia, operando attivamente nel popolo indio, impedendo la rassegnazione alle sconfitte e la sottomissione alla violenza. Ne Los ojos de los enterrados («Gli occhi dei sepolti»), di Miguel Ángel Asturias, i morti indios non possono chiudere gli occhi sotto terra finché la libertà non sarà tornata a regnare nel Guatemala; nel romanzo di Scorza è l'insonne cavaliere, don Raimundo Herrera, a non chiudere gli occhi per la morte, finché la Comunità non vedrà riconosciuto il proprio diritto.

La scrittura di Manuel Scorza è corposa, ma non priva anche di sottili trasparenze. Il tempo sembra fermarsi su un mondo dai confini irreali, dove però reale è la somma della sofferenza. Lo scrittore, pur non insistendo, come altri narratori del filone indianista, su particolari raccapriccianti, o su mascheroni inquietanti, perviene a una dura denuncia. Nel gioco intenso della fantasia, per il quale reale o irreale-magico si fondono, dà corpo a una delle opere più interessanti del romanzo latino-americano, resa felicemente anche nella traduzione italiana.

MANUEL SCORZA.- Il cavaliere insonne.- Trad. di A. Morino, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 227.





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