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Il gioco allucinante de El astillero


1.- La fortuna di Juan Carlos Onetti si può dire recente. Ancor oggi egli resta un narratore del quale la critica ha finito per riconoscere il valore, tra i più rilevanti della narrativa ispano-americana del nostro tempo, ma la cui opera permane discosta dai richiami, dalle suggestioni di un'esuberante fantasia e dell'esotismo. Quella di Onetti è una letteratura per lettori non facili alla distrazione, attenti a cogliere i termini di una problematica di valore universale, di significato permanente, i sottili squilibri che la realtà provoca nell'individuo. Centrata sull'uomo americano, in quanto ha come teatro e punto d'osservazione il Río de la Plata, Buenos Aires, Montevideo, attraverso luoghi che trasparentemente li evocano, l'opera di Onetti mira a proporre un ritratto dall'interno dell'uomo in senso ampio, quale cittadino del mondo e simbolo dei problemi che suscita nell'individuo la civiltà moderna.

Emir Rodríguez Monegal, seguito poi da diversi critici, ha sottolineato la curiosa difficoltà incontrata da Onetti nell'imporsi tra i grandi narratori ispano-americani del novecento, pur essendo a pieni titoli uno di essi120. Per il critico lo scrittore uruguaiano ha avuto la strana sorte di apparire sempre fuori tempo121. Precursore di nuove vie, proprie più tardi del nuovo romanzo, allorché Onetti presenta le sue opere a concorsi letterari le vede sistematicamente posposte ad altre -in qualche caso oggi dimenticate-, perché appaiono troppo lontane dalle correnti in voga; quando poi lo scrittore le pubblica, talvolta a distanza di anni, o quando, comunque, tali opere vengono conosciute in ambito continentale, altri autori più fortunati nella diffusione dei loro libri hanno già mutato le prospettive della narrativa ispano-americana, così che la sua qualità di precursore non può essere colta.

Nel 1941 Onetti viene posposto, infatti, al Ciro Alegría de El mundo es ancho y ajeno122; nel 1960 «Life en español» gli preferisce un lungo racconto di Marco Denevi; nel 1967, il Premio Rómulo Gallegos va a La casa verde di Mario Vargas Llosa, invece che a Juntacadáveres dello scrittore uruguaiano.

A proposito di questa serie di incomprensioni Rodríguez Monegal parla di una «vocación [...] para el fracaso», di un fallimento non della qualità, ma della «oportunidad»: «En 1941, Onetti llega demasiado pronto para arrebatar el premio a Ciro Alegría y peca de anacronismo por ser un adelantado de la nueva novela. En 1967 llega demasiado tarde para poder disputar seriamente el premio a Vargas Llosa, y su anacronismo es el de todo precursor. Descolocado, desplazadísimo, Onetti no está nunca en su escalafón literario. Está, sí, en la literatura, y su puesto (al margen de éxitos o fracasos, de fluctuaciones inevitables de lectores y críticos) aparece ya asegurado por sus grandes novelas y sus sombríos cuentos»123.

È il carattere cupo e sfiduciato dei suoi personaggi a impedire, con molta probabilità, alle sue opere una maggiore entratura presso il pubblico lettore, non solo, ma anche, e per diverso tempo, presso taluni critici, attenti piuttosto alla ricerca di un particolare segno «americano», che si identificava con il tellurismo, la protesta -indianista o proletaria in senso ampio-, con i problemi della presenza straniera e della dittatura. Esiste un'indubbia difficoltà, per il lettore, nell'opera di Onetti, ed è costituita da un modo personalissimo di affrontare la realtà, non nell'aneddoto, ma nella problematica che essa implica, così che la sostanza dei suoi libri è soprattutto d'ordine intimo; in questo risiede la sua caratteristica di precursore del nuovo romanzo.

È un fatto che altri libri della «nueva novela» si presentano con maggiori qualità di suggestione. Basti pensare a Cien años de soledad di Gabriel García Márquez. La narrativa di Onetti rifugge dal gioco lussureggiante della fantasia e per essere apprezzata, colta nelle sue reali qualità artistiche, nel messaggio profondo, che non è mai un messaggio tranquillizzante, ha bisogno di un lettore paziente, che sappia prescindere dall'interesse di una trama complessa, dai fatti, dalle cose nella loro spettacolarità, per concentrare l'attenzione sulla serie di reazioni che fatti e cose determinano nell'intimo del personaggio; solo attraverso queste reazioni si può attingere il vero aspetto della realtà oggetto d'indagine.

In questo senso Onetti è uno scrittore quanto mai impegnato con il proprio tempo, anche se non dà sfogo a invettive contro i sistemi politici americani, se non elabora programmi rivoluzionari, né mira a spingere all'azione. Alla base della sua opera sta un atteggiamento responsabile di fronte all'uomo. In una intervista egli ha affermato: «Yo quiero expresar nada más que la aventura del hombre»124. La rappresentazione di tale avventura è presieduta da una visione pessimistica della vita, che taluni125 hanno fatto derivare equivocamente dall'insuccesso di Onetti come scrittore, dal lungo periodo d'ombra in cui è vissuto, ma che ha le sue origini in una più seria predisposizione naturale. Tuttavia, anche se non a torto Andrés Amorós sostiene126 che il pessimismo e l'ottimismo non possono dipendere in un uomo dal successo o dall'insuccesso, della sua opera, è del pari indubbio che l'insuccesso, l'incomprensione, possono accentuare un'inclinazione preesistente a vedere le cose sotto una luce negativa. La monotonia, il grigiore della vita di Onetti, la sua figura «retraída» e triste si accordano con l'angolazione che nella sua opera assume la visione della realtà.

In occasione di un'intervista Luis Harss ha tracciato dello scrittore un ritratto illuminante: «En la lenta llovizna, metido en un voluminoso abrigo, doblado bajo el peso de la ciudad, avanza, opaco, un sonámbulo en la noche insomne. Como la ciudad, lleva con fatiga la carga de los años. Es alto, enjuto, con mechones blancos en el pelo gris, ojos desvelados, labios torcidos en una mueca dolorosa, alta frente profesoral, las huellas de la renuncia y del desengaño en su andar de oficinista envejecido [...]»127. Ritratto poco attraente, a posteriori, in cui si riflette, non v'è dubbio, l'impressione lasciata dall'opera di Onetti sul suo intervistatore. Come poco attraente, a prima vista, si presenta la narrativa di questo scrittore, del quale è stata sottolineata l'ascendenza faulkneriana128, la conoscenza profonda dell'opera di Roberto Arlt129, la difficoltà di intendere ciò che scrive130, la possibilità che sotto l'improvviso rilievo datogli dai critici si nasconda un meschino proposito di demolizione della fama di altri scrittori, già affermati e non meno validi131.

Riconosciuto il valore della narrativa di Onetti, nei giudizi sulla sua opera permane tra i critici una serie evidente di discordanze circa la maggiore o minore validità dei singoli romanzi. Se, ad esempio, Juntacadáveres è per alcuni l'opera di maggior rilievo dello scrittore uruguaiano, per altri è addirittura quella di minor valore; per gli uni il libro migliore di Onetti è La vida breve132, per altri lo è El astillero133. Questa diversità di valutazione sottolinea, a mio parere, la vitalità della narrativa di Juan Carlos Onetti; essa si presenta al lettore come materia stimolante di giudizio critico e afferma, sulla varietà dei gusti e delle tendenze, la propria validità.

Senza disconoscere il valore degli altri romanzi, l'opera di maggior rilievo e di più affermata maturità di Onetti è, a mio giudizio, El astillero; essa rappresenta un evidente progresso nella traiettoria della sua narrativa, mostra una maturità tecnica e stilistica difficilmente superabili, una novità d'accento originale nell'interpretazione, tragica e al tempo stesso sottilmente poetica, di un mondo che vive tra la realtà e l'irrealtà. Anche senza voler parlare di «obra maestra», come fa il Rodríguez Monegal134, stabilendo categorie di merito, sempre difficili da sostenere, e suscettibili di revisione, in uno scrittore che continua nella sua attività creativa, El astillero mi sembra la più efficace realizzazione di quel gioco sottile in cui la realtà sfuma nell'irreale, accentuando nel contempo il proprio peso sui protagonisti, presi senza possibilità di scampo nella complicata e allucinante trama della vita.

2.- Nella sua redazione El astillero risale al 1957, ma il libro vede la luce solo nel 1961135. L'opera rappresenta un'interruzione non prevista nella stesura di Juntacadáveres, romanzo in cui si narrano le avventure di E. Larsen, di cui El astillero racconta invece la fine. Pubblicato nel 1964136, Juntacadáveres è posteriore, quindi, nella sua conclusione, a El astillero, anche se del protagonista principale narra le avventure precedenti. Forse per questo motivo Juntacadáveres è parso a qualche critico un libro meno perfetto, tanto che l'Harss parla addirittura di una delusione, interpretandolo come una specie di rifusione de El astillero, «armado de piezas sueltas, sobrantes y repuestos que duplican mal la carrocería del original»137. Lo stesso Onetti sembra ammettere, in parte, tale giudizio negativo138, che la maggioranza della critica ha tuttavia rifiutato, arrivando, anzi, in qualche caso, a porre l'opera su un piano di valore artistico superiore, a El astillero139.

Il dato relativo alla cronologia della composizione di un libro ha la sua importanza ai fini della comprensione dell'opera. Ne El astillero ricompaiono, oltre a quella di Larsen, il vero protagonista, altre figure, tra esse quella del dottor Díaz Grey, già presenti, in misura maggiore o minore, in romanzi e racconti precedenti, fino a La vida breve (1950) -ove si pongono le basi della città-simbolo di Santa María, sul cui sfondo si svolgono tutte, o quasi, le vicende dei libri di Onetti- ma anche a Tierra de nadie (1941), nella quale già compare Larsen.

Emir Rodríguez Monegal ritiene imprescindibile seguire un ordine di cronologia interna per avere un'idea efficace dei fatti narrati nelle ultime opere di Onetti. Egli afferma che, per cogliere adeguatamente il senso della storia di Larsen, occorre invertire la successione cronologica di stesura, non solo quella di pubblicazione, facendo precedere, nella lettura, a El astillero non solamente Juntacadáveres, ma anche, quale secondo libro, Para una tumba sin nombre, che è del 1959, anteriore quindi allo stesso Astillero come anno di edizione140.

Lo schema proposto dal critico appare discutibile, se non addirittura negativo per una valutazione adeguata dell'opera di Onetti, almeno per quanto riguarda El astillero. Non sembra dubbio che nelle intenzioni del romanziere la pubblicazione delle singole opere abbia avuto una sua valida ragione e quindi non si debba ascrivere al puro caso. Ciascuno dei tre romanzi citati ha, inoltre, una sua vita autonoma, anche se vi compaiono ambienti e personaggi ricorrenti nell'opera del narratore, visti in epoche diverse, non necessariamente rispondenti a un ordine cronologico. L'apparente caos segnalato dal Rodríguez Monegal non è tale da preoccupare il lettore, il quale non suole seguire l'attività di un romanziere secondo un ordine scrupoloso di pubblicazione dell'opera. Ma neppure preoccupa il critico, che non suole ripartire gli scritti di un autore in compartimenti incomunicanti, tanti quanti sono i libri. Nel caso de El astillero la storia di Larsen precedente gli anni cui si riferisce il romanzo, appresa solo più tardi in occasione della pubblicazione di Juntacadáveres, non solo è prescindibile, ma è utilmente ignorata. È proprio questa mancanza di antefatti conosciuti, di avvenimenti concreti, a dare alla figura di Larsen un alone leggendario, una dimensione spirituale diversa, più ampia, nella sfumatura dei contorni reali.

Questo, naturalmente, è un discorso che il critico conduce a posteriori, prescindendo volutamente dalla conoscenza di Juntacadáveres. Quando Onetti inizia il primo capitolo de El astillero alludendo alla cacciata di Larsen -o «Juntacadáveres»- dalla cittadina di Santa María, come si apprende dalla pagina seguente, il motivo permane vago e l'imprecisione accentua la nota misteriosa del personaggio. Infatti, solamente alla fine del libro percepiamo, ancora vagamente, che il motivo della cacciata dalla città dovette essere in relazione con una non chiara storia di prostituzione. Dal fondo del tempo emerge d'improvviso un personaggio del passato, il vice-commissario di polizia di Santa María, Medina, che Larsen, quasi alla fine della sua traiettoria vitale, va a cercare in città, come volesse ossessivamente risuscitare i segni del tempo trascorso. Il poliziotto dovette essere parte del momento alluso -da Juntacadáveres si apprende, infatti, del ruolo che egli ebbe nella cacciata del protagonista e nella chiusura del postribolo di Larsen-, ma tra i due non vien fatta alcuna allusione al passato. La sola presenza fisica dell'uno ristabilisce automaticamente per l'altro personaggio, dall'interno, il contatto con una stagione che nessuno dei due osa far rivivere in contorni concreti. L'incontro avviene in un clima di speranza e di rassegnazione, al tempo stesso, in mezzo ai simboli della decadenza e del passo inesorabile del tempo:

«Hablaron, sí, del tiempo viejo, sin que ninguno aludiera a la historia del prostíbulo. Medina sonreía dulcemente, como si evocara años duros y esperanzados. Después bostezó y se fue incorporando con lentitud, se puso de pie y estiró el enorme cuerpo vestido de marrón, más gordo, aún joven»141.



In apertura di romanzo la figura di Larsen si avvantaggia della soppressione di particolari innecessari intorno alla sua esistenza anteriore. Il fatto di non sapere chi egli realmente sia crea intorno al personaggio un clima mitico e accresce la curiosità nel lettore. Onetti coltiva sapientemente questo clima. Dalle prime pagine de El astillero resta fissato un tempo che potremmo chiamare «favoloso» e un tempo reale, quello in cui Larsen, dopo cinque anni dalla sua cacciata, rimette piede in Santa María. Il tempo favoloso si fonda sulla menzione di remote e anonime predizioni proprio intorno a questo ritorno e in esse sull'allusione al carattere effimero di tale ritorno, nel sottinteso riferimento ai cento giorni napoleonici:

«Hace cinco años, cuando el Gobernador decidió expulsar a Larsen (o Juntacadáveres) de la provincia, alguien profetizó, en broma e improvisando, su retorno, la prolongación del reinado de cien días, página discutida y apasionante -aunque ya casi olvidada- de nuestra historia ciudadana [...]»142.



Ma anche il tempo reale è già situato nel clima favoloso del passato, per l'allusione alla storia oggetto del libro, «ya casi olvidada». Larsen sembra, così, perdersi nel tempo trascorso; senonché Onetti rinvigorisce immediatamente l'attualità della sua presenza, sottolinea il tempo reale con l'eliminazione dell'aneddoto e la ripetizione di un'unica data che rimane fissa nel romanzo, in mezzo a notazioni temporali vaghe, o del tutto inesistenti, a indicare l'inizio di un'avventura. «Hace cinco años»fa arretrare nel tempo la prospettiva, ma «cinco años después» del paragrafo successivo richiama prepotentemente il presente:

«De todos modos, cinco años después de la clausura de aquella anécdota, Larsen bajó una mariana en la parada de los omnibuses que llegan de Colón. [...]»143.



Si tratta, nella «ficción», di un nuovo tentativo da parte del protagonista di imporre la propria presenza in un mondo ostile e di affermare una determinazione di lotta contro l'accanirsi della sfortuna. Larsen non è, qui, l'uomo aperto alla vita, il «macró» -così lo hanno definito i critici- disposto a un'azione violenta e irruente, senza scrupoli, presentato da Onetti in Juntacadáveres. Nel romanzo citato Larsen appare in atteggiamento vitale, «Resoplando y lustroso, pierniabierto, sobre los saltos del vagón en el ramal de Enduro»144; il personaggio qui è ancora giovane, aperto agli entusiasmi e alle illusioni, anche se ha già alle spalle delusioni e frustrazioni. Ne El astillero Larsen è in età matura, procede «lento y balanceándose», è «tal vez más gordo, más bajo, confundible y domado en apariencia»145. Il contrasto è già segno di un maggior fallimento. Larsen tenta invano di ripetere il brio del suo precedente ingresso a Santa María; allora egli «empujaba, dominando, el gesto perdonador de quien regresa al país natal autorizado por el triunfo [...]»146; ora il suo atteggiamento è quello di chi ha dietro di sé una grossa esperienza negativa, di chi vuol sfidare, ma senza spavalderia, di chi vuole imporsi, ma già percepisce la propria debolezza.

Onetti studia nei dettagli la figura di Larsen; gli atteggiamenti esteriori aprono la strada alla percezione di strati interni della personalità del protagonista:

«[...] puso un momento la valija en el suelo para estirar hacia los nudillos las puños de seda de la camisa, y empezó a entrar en Santa María, poco después de terminar la lluvia, lento y balanceándose, tal vez más gordo, más bajo, confundible y domado en apariencia»147.



L'atmosfera che accompagna il nuovo ingresso di Larsen a Santa María è grigia, ancora madida di pioggia. La pioggia è presenza costante nel libro, come del resto in tutta l'opera di Onetti, e segna cupamente un mondo grigio, senza speranza. Il protagonista entra nella città con lentezza -«empezó a entrar»- come si entra in un luogo ostile, già segnato da fallimenti che si rifanno attuali.

Onetti si sofferma sul ritorno di Larsen a Santa María, per rendere il clima negativo di tutto il romanzo. Fin dalla prima pagina percepiamo che la vita del protagonista sarà un susseguirsi di illusioni e di fallimenti. Ciò che colpisce nello stile di Onetti, in questo libro, è la riuscita spersonalizzazione. L'atmosfera di fallimento è sostenuta da una abile tecnica di «sganciamento» da parte dello scrittore, definita da Fernando Ainsa la costante dell'evasione148. Onetti racconta un'avventura umana, un'esperienza vitale determinante e drammatica, ma la drammaticità della stessa si costruisce attraverso un molteplice apporto di voci, in una monotonia di vicende e di ripetizioni che apre ampi spiragli nell'individuo. La voce del narratore si nasconde con ricorrente insistenza dietro altre voci, che rappresentano diversi punti di vista, i molteplici angoli dai quali la realtà può essere osservata. Sulla somma di queste voci, di questi aspetti, quindi, della realtà, si costruisce l'estrema probabilità delle vicende umane narrate. In questa probabilità si riflette la casualità del dato concreto, la vita quale continua possibilità di mutamento, il caso dominatore delle situazioni umane, la logicità, o l'illogicità costante, con cui le cose possono essere e possono non essere, o essere diverse. Alla radice di questo atteggiamento sta la convinzione che il mondo è indifferente ai drammi degli individui. L'uomo è incomunicato e solo, in una società che si interessa a lui esclusivamente per curiosità, quando non per odio. L'egoismo dominante, la freddezza, fanno sì che ognuno si senta a suo agio solo di fronte alle difficoltà altrui, «cómodos en la desgracia», come fa dire Onetti alla voce narrante di Para una tumba sin nombre149.

Un'atmosfera disimpegnata e quasi irreale domina quindi ne El astillero, attraverso il ricorso a molteplici versioni passive dei fatti, al monologo interiore dominante, all'intervento del narratore nell'esposizione degli avvenimenti in una propria visione, ma anche nei frequenti incisi, riflessioni di chi racconta sulle cose. I dati testimoniali creano un clima di tale probabilità che il concreto sembra continuamente naufragare nella sua reale consistenza. Non solo esiste il punto di vista di personaggi chiaramente identificati, ma lo scrittore tende con insistenza a introdurre la voce anonima e molteplice, il mondo come massa, una società disimpegnata e ciarliera, in modo da accentuare il clima vago e sfuggente nella sua realtà vera.

Fin dall'inizio de El astillero il ritorno di Larsen è visto in una molteplice angolazione che dissolve il dato concreto: «Son muchos los que aseguran [...]», «Algunos insisten [...]», «Otros, al revés [...]»150. La realtà prende poi piede nella versione della voce narrante, con l'allusione a fatti concreti, ma per introdurre di nuovo, quasi immediatamente, una versione anonima che toglie valore al concreto, e un inciso, che ci propone Larsen attraverso l'impressione di uno degli anonimi narratori: («estaba triste, envejecido y con ganas de pelear; mostraba el dinero como si tuviéramos miedo de que se fuera sin pagarnos»)151.

La realtà viene insidiata attraverso una serie di espressioni congetturali: «Llegó, probablemente, a perderse [...]», «Tal vez haya esperado [...]»152; sottolineate nella loro «probabilità» da nuovi dati certi: «Salió del hotel y es seguro que cruzó la plaza para dormir en la habitación del Berna»153. Per poi ricadere nel dato che indirettamente ricostruisce azioni reali: «Dos días después de su regreso, según se supo [...]»154.

Situato il protagonista in questo clima probabile, che partecipa del pari del reale e dell'irreale, la vicenda si svolge. Alla fine del romanzo la medesima tecnica rende le ultime azioni di Larsen, in parte riferite dalla voce narrante, in parte da un personaggio appartenente al mondo concreto, Hagen, «el del surtidor de nafta en la esquina de la plaza»155, poi dal barman del Plaza, a partire dall'ultima comparsa del protagonista a Santa María, parte viste attraverso la testimonianza di un personaggio che gli fu vicino, Kunz. Il senso di prescindibilità di ogni dettaglio, il distacco apparente dello scrittore dalla vicenda, non fanno che definire sempre più la condizione di incomunicabilità e di solitudine di Larsen, in una realtà inquietantemente insicura, che Onetti sottolinea anche attraverso la futilità del dato concreto e l'accentuazione del dubbio intorno al medesimo:

«Esta parte de la historia se escribe por lealtad a un fantasma. No hay pruebas de que sea cierta y todo lo que podemos pensar indica que es improbable. [...]»156.



In questo senso anche la duplice versione della fine del protagonista, sulla quale si chiude il romanzo, conclude perfettamente il clima di irrealtà nel quale fluttuano i personaggi de El astillero. Il dubbio conturbante intorno alla possibilità di attingere la realtà domina, vero protagonista, tutta l'opera.

3.- Allorché Larsen torna a Santa María si trova di fronte a un mondo immobile nei sentimenti, che solo il segno dell'età ha contribuito a rendere vacillante o indifferente, davanti a ciò che egli rappresenta nella storia della città.

Nel'ansia trasparente con cui il protagonista cerca di raggiungere un'identificazione da parte degli abitanti della città, sta il bisogno dell'uomo di ricostruire continuamente la propria immagine, se stesso, ristabilendo i legami interrotti col passato e con un mondo che sembra esistere realmente. I cinque anni che intercorrono tra la cacciata e il ritorno di Larsen, sui quali non esiste lume né in Juntacadáveres, né nell'Astillero, sono da intendersi, nella storia intima del personaggio, come anni ostili, esclusivamente negativi e passivi, dominati dal peso della sconfitta. La ricomparsa di Larsen è, in definitiva, l'ultimo e disperato tentativo di riemergere, ma già con una prospettiva negativa e infelice:

«Después sería el fin, la renuncia a la fe en las corazonadas, la aceptación definitiva de la incredulidad y de la vejez»157.



La vecchiaia è motivo ricorrente nell'opera di Onetti, e reca in sé il senso di ogni fallimento. La nuova impresa del protagonista si manifesta quale necessità di ridar senso al tempo trascorso; la visione improvvisa della figlia, strana, se non demente, di Jeremías Petrus, padrone dello «Astillero» in rovina, sembra preludere a qualche cosa di positivo:

«[...] algo le decía que sí, el rumor de la lluvia hablaba de revanchas y de méritos reconocidos, proclamaba la necesidad de que un hecho final diera sentido a los años muertos»158.



Eppure Larsen è votato fin dall'inizio alla sconfitta. Per Onetti non esiste, evidentemente, uomo che non lo sia, comunque si svolgano le cose. Su ognuno egli vede dominare un destino crudele, che si accanisce col passare degli anni e congiura alla distruzione dell'individuo.

Larsen rappresenta la tensione suicida dell'uomo nel tentativo, sempre fatalmente frustrato, di modificare il proprio destino. Egli è attratto, infatti, come mosso da una vocazione di autodistruzione, dall'irreale macchina dello «Astillero», mantenuta in vita da Petrus attraverso una farsa prolungata, malgrado l'assoluta rovina.

Per meglio rendere questo richiamo suicida e assurdo, Onetti sfuma nel dubbio la nozione della realtà da parte del personaggio. Gerente generale della fabbrica fantasma, Larsen comanda su un mondo irreale, fantomatico, in cui le uniche esistenze fisiche reali sono due anacronistici impiegati di rango direttivo, Gálvez e Kunz. Per Onetti il caso determina le situazioni umane, ma l'uomo passa in mezzo ai segni del fallimento e della rovina che lo circondano, senza coglierne il vero significato. Prima del colloquio decisivo con Petrus per la sua sorte nello «Astillero». Larsen è assalito da improvvisi pensieri di morte e da ricordi inquietanti: «Pensó en algunas muertes y esto lo fue llenando de recuerdos [...]»159. L'inquietudine spinge l'uomo a ripetizioni di azioni significative del suo disorientamento: Onetti presenta Larsen in viaggio, immerso nella lettura del giornale del giorno innanzi, ossia delle stesse notizie lette la sera precedente in albergo. La meccanicità degli atti, i pensieri disancorati dalla realtà e contrastanti, sono resi abilmente dallo scrittore quali segni di un fallimento già in atto. La marcia all'indietro nel tempo, interrotta da improvvisi ristagni, in cui nulla accade, ma tutto potrebbe accadere, rende l'angoscia di un disorientamento che la sfortuna e l'età hanno reso più acuto, ma meno concretamente percepibile da parte del personaggio.

Un nuovo segno premonitore si presenta a Larsen allorché si trova di fronte lo spettacolo di decadenza dell'edificio della «Jeremías Petrus & Cía.». Intorno al personaggio Onetti moltiplica le allegorie della rovina: i «tablones grises y verdosos» per l'umidità e il disuso, le gru «herrumbradas», il volume inutile e anacronistico del fabbricato, «gris, crítico, excesivo en el paisaje llano», sormontato da un'insegna a lettere enormi, «carcomidas, que apenas susurraban, como un gigante afónico, Jeremías Petrus & Cía.»160.

Il narratore immerge questi spettacoli di decadenza in un inverno livido e insistente. L'ultima avventura di Larsen si svolge tutta in questa stagione grigia e triste e si conclude ai primi avvisi della primavera, con la morte. L'edificio, sulle rive di un fiume anonimo onnipresente -certamente il Piata-, affonda nel fango, sullo sfondo di un cielo grigio, dominato dalla pioggia o appena liberatosi per breve tempo da essa. Quando Larsen si avvicina per la prima volta all'«Astillero» il cielo si è appena rannuvolato, ma stranamente permette lo spirare di una aria quieta, «augural»161. Benché l'apparente spiraglio venga subito eliminato dall'esclamazione del protagonista, sintesi di una catena di considerazioni interne: «Poblacho verdaderamente inmundo»162.

Onetti insiste sui presagi di fallimento, sulle prospettive negative, non sempre colte da Larsen, dominate da un sapore amaro di vecchiaia. Le illusioni dell'incontro fortuito con la figlia di Petrus vengono immediatamente distrutte dai primi abboccamenti. Il ricordo del passato domina di continuo; le azioni compiute nel presente sono la ripetizione di gesti anteriori; le situazioni si riflettono in uno specchio orribile, che ha la sua sede dentro di noi.

Negli incontri con Angélica Inés, Larsen ha la sensazione scoraggiante di «tediosas repeticiones de una misma escena fallida»163. La donna rappresenta un mondo strano e irreale, come l'«Astillero», e dall'incontro con essa scaturiscono per il protagonista messaggi di fallimento, simbolo di nuove umiliazioni:

«Luego vino el primer encuentro verdadero, la entrevista en el jardín en que Larsen fue humillado sin propósito y sin saberlo, en que le fue ofrecido un símbolo de humillaciones futuras y del fracaso final, una luz de peligro, una invitación a la renuncia que él fue incapaz de interpretar»164.



Simboli di rovina e di decadenza circondano l'incontro: un giardino coperto di erbe cresciute disordinatamente; alberi dalle cortecce con macchie «blancas y verdes, de humedad sin brillo»165. Nel centro del giardino uno stagno circolare cinto da un muretto «musgoso, con grietas ocupadas por los tallos secos»166; la «glorieta» dell'appuntamento, di rozze tavole di legno dipinte di «azul marino y destenido»; più oltre, sullo sfondo, la casa padronale, «de cemento, blanca y gris, sucia, cúbica, numerosa de ventanas, alzada sin grada por los pilares, excesivamente, sobre el nivel de las probables crecidas del río»167.

L'«Astillero» e la casa di Petrus sono due simboli di un medesimo mondo chiuso, isolato dall'altro mondo, quello vivo e reale, del quale ad un determinato momento anche Larsen tornerà ad avere coscienza. Per questo personaggio l'«Astillero» dovrebbe costituire una sorta di anticamera, per entrare, attraverso il matrimonio con la figlia di Petrus, nel simbolico castello inaccessibile della casa-residenza; ciò significherebbe il riscatto da un passato di fallimenti. Ma seduto nella «glorieta», in attesa della donna, Larsen esperimenta in profondità il senso della propria decadenza e del fallimento al quale è votato.

Onetti rende la stanchezza spirituale, la decadenza fisica dell'uomo attraverso acuite percezioni sensoriali del protagonista, nelle quali entrano elementi impalpabili dell'ora e odori che simbolizzano la decadenza e la rovina, su una sensazione generale di «estafa»:

«Eran las cinco de la tarde, al fin de un día de invierno soleado. A través de los tablones mal pulidos, groseramente pintados de azul, Larsen contempló fragmentos rombales de la decadencia de la hora y del paisaje, vio la sombra que avanzaba como perseguida, el pastizal que se doblaba sin viento. Un olor húmedo, enfriado y profundo, un olor nocturno o para ojos cerrados, llegaba desde el estanque»168.



In questa atmosfera di frustrazione, carica di presagi funesti, la casa di Petrus sembra qualcosa di irreale e di duramente inaccessibile. Infatti, quando finalmente Larsen vi entrerà, sarà il suggello del suo fallimento definitivo. Ora egli vede il palazzo come un simbolo di possibilità minute, di realtà di nessuna trascendenza, che soddisfano meschinamente la sua umanità:

«Bajando un párpado para mirar mejor, Larsen veía la casa como la forma vacía de un cielo ambicionado, prometido; como las puertas de una ciudad en la que deseaba entrar, definitivamente, para usar el tiempo restante en el ejercicio de venganzas sin trascendencia, de sensualidades sin vigor, de un dominio narcisista y desatento»169.



In questo clima, di egoistico desiderio di potenza, per la meschinità della vendetta, Onetti denuncia la volgarità delle aspirazioni umane. Con una parola «sucia» Larsen reagisce ai segni della decadenza e dell'erosione, ristabilendo provvisoriamente la serie delle possibilità attive tentabili. Ma l'incontro con la figlia di Petrus non cessa, per questo, di realizzarsi in un clima di presagio. Il «desgaste» del protagonista, di cui lo scrittore denuncia soprattutto il disfacimento interiore, sottolineando le contrastanti caratteristiche esterne -«enhiesto y engordado»-, è avvolto dalla sera d'inverno, circondato da un ambiguo «aire tenso y calmo»170 che prelude a qualunque cosa, ma soprattutto alla catastrofe.

Il mondo nel quale Larsen entra, come attratto da una forza congiurata alla sua distruzione, emette anch'esso segni avvertitoti. L'insistenza di Onetti sui dettagli negativi ha il raggelante effetto di creare una irrealtà perfetta, che si costruisce su concrete assenze. Allorché il protagonista entra nell'«Astillero» per udire il «discurso inmortal» di Petrus171, ripetizione di altri identici discorsi che, in tempi diversi, decine di uomini miserabili, «esperanzados y agradecidos»172, avevano ascoltato, egli passa in mezzo ai segni di una realtà già irreale: uffici privi di porte, finestre senza vetri, dappertutto solitudine e disordine, a terra progetti disseminati, cavi tagliati e soprattutto il senso di una «soledad palpable»173.

Di fronte a Larsen sta Petrus, maschera impassibile, intento a recitare una commedia che da tempo lo assorbe completamente e che è divenuta la ragione stessa della sua vita: la finzione di una possibile ripresa della fabbrica. Due attori volontari sono entrati da un tempo nella commedia ordita da Petrus, gli impiegati Gálvez e Kunz; ora vi entra anche Larsen, attratto come nell'«hueco voraz de una trampa indefinible», alla ricerca di un rifugio finale, «esperanzado y absurdo»174, nel quale sin dall'inizio, in realtà, non crede.

Quando a poco a poco il gioco si scopre, gli attori prendono coscienza che ognuno sa della parte altrui nella commedia, ma del pari che per ognuno è impossibile por fine alla finzione. Tutti, infatti, per Onetti, abbiamo un destino tracciato, ed è impossibile opporvisi. A Petrus, simbolo della gratuità del male, non interessa ormai altro che il gioco in sé; egli ha creato con rozzezza istintiva un mondo disumano, «un particular infierno creado con ignorancia»175. Ma per Larsen questo mondo è divenuto il segno di una reazione alla meccanicità con cui si verifica il destino, il modo -chiaramente individuato dal dottor Díaz Grey- con cui proteggere una farsa personale, che ha bisogno dell'accettazione di un'altra farsa:

«[...] Todos sabiendo que nuestra manera de vivir es una frase, capaces de admitirlo, pero no haciéndolo, porque cada uno necesita, además, proteger una farsa personal. [...] Petrus es un farsante cuando le ofrece la gerencia general y usted otro cuando acepta. Es un juego, y usted y él saben que el otro está jugando. Pero se callan y disimulan»176.



Si comprende che, alla fine di un'intervista con Petrus, all'Hotel Plaza di Santa María, in cui la finzione tra i due personaggi prosegue esaltando il gioco in un clima di allucinante irrealtà, Larsen, reagendo all'istintivo desiderio di sputare in faccia a Petrus, se dovesse svegliarsi dal sonno in cui è caduto, o ha finto di cadere, quale responsabile della finzione, finisca invece per baciarlo sulla fronte, quasi in segno di gratitudine, perché gli permette di prolungare così la propria esistenza. La necessità di continuare la commedia nel tempo è per Larsen, come per ogni uomo, secondo Onetti, la ragione stessa della vita, l'unica possibilità di esistere in un mondo deludente e negativo. L'irrealtà dell'universo -piccolo universo- in cui il protagonista è entrato, permette l'esistenza di un'apparente realtà che si oppone a quella vera, materialmente consistente, ma negativa.

Tra Santa María, l'«Astillero», la «glorieta» degli appuntamenti deludenti e quasi irreali con la figlia di Petrus, l'inaccessibile casa di questi, la «casilla» di Gálvez -dove il gioco dell'irrealtà si prolunga, con la strana presenza erotica rappresentata dalla moglie dell'impiegato in attesa di un figlio- si svolge la chiusa vicenda del romanzo. Santa María è il mondo reale; tutto il resto è un universo fittizio, alimentato dalla necessità umana della illusione, ma di un'illusione che non è concrezione di sogni meravigliosi, bensì coagulo dell'abbandono e della tristezza. Un mondo chiuso, rigorosamente kafkiano di rovine, come ha rilevato Andrés Amorós177; un mondo che crolla nell'impatto col mondo vero, non meno negativo, s'intende, di Santa María, della cui impossibilità di eliminazione ad un determinato momento Larsen si rende conto, come dell'inutilità della fuga da se stesso e dal compiersi del destino. L'uomo prende coscienza dei limiti che lo imprigionano, in un'atmosfera che con l'umidore e la pioggia annuncia la sua condanna:

«En consecuencia, Larsen tuvo que entregarse debajo de la llovizna y el viento, después de cruzar en diagonal la plaza, para descubrir, con asombro, con fastidio y una innominable excitación, que el hecho de que el astillero hubiera llegado a convertirse en un mundo completo, infinitamente aislado e independiente, no excluía la existencia del otro mundo, éste que pisaba ahora y donde él mismo había residido alguna vez [...]»178.



4.- Dal momento in cui Larsen acquista coscienza della inutilità della propria costruzione, le azioni perdono per lui ogni valore e il tempo cessa di essere una misura significativa, poiché il meccanismo che conduce alla fine si rimette in movimento suo malgrado. Scrive Onetti «en este momento de la historia, nadie tiene prisa o no importa la que se tenga»179. È il riconoscimento di un destino ineluttabile e della vanità dei tentativi umani per modificarlo; quindi è il fallimento completo di Larsen, e nel suo fallimento dell'umanità. Questa fine era prevedibile, ne El astillero, per l'impossibilità del protagonista di comunicare con gli altri mondi che lo circondavano. La solitudine, l'incomunicabilità, sono il dramma in cui l'uomo si dibatte, insieme alla coscienza dell'impossibilità di arrestare la meccanica dei fatti che lo conducono alla distruzione.

La solitudine di un individuo presuppone altre solitudini, tutte originate dall'impossibilità di comunicare. Il mondo di Santa María non è meno solo e isolato di quello dell'«Astillero», né il dottor Grey, che vive in città, è meno solo e isolato di Larsen. Tuttavia Onetti dà al dottor Grey -personaggio insistito nei suoi romanzi- una superiore facoltà di intendere la meccanicità dei fatti, il destino fatale degli uomini che ne sono i protagonisti passivi. Il dottore vede chiaramente, fin dall'inizio del suo incontro con Larsen, che quest'uomo è portato dal suo destino a calpestare una terra che segnerà la sua fine e dalla quale, perciò, avrebbe dovuto tenersi lontano.

Nel romanzo il dottor Grey rappresenta la coscienza lucida dei fatti. Il Deredita ha parlato a questo proposito di una specie di «doble o multiplicación» del dilemma di Larsen, denunciando, tuttavia, la prescindibilità del «cambio de reflector» per tale effetto180. Ma l'isolamento di Grey viene sottolineato da Onetti come un privilegio e come un dramma al tempo stesso. Captatore della disgrazia cui fatalmente vede destinato il protagonista, egli è, in fondo, impotente a intervenire in modo concreto. Nessuno, per lo scrittore, anche se gli svolgimenti possono essere molteplici e tutti probabili, può intervenire a modificare il destino, né il proprio, né quello altrui.

Il fatto che il dottor Grey preveda, legga quasi la disgrazia nel suo interlocutore, non ne fa un individuo disposto a un'opera di salvezza. Onetti lo presenta alle prese con un'insonnia ostinata e tormentosa, che tenta vanamente di eliminare ricorrendo alla musica e al solitario. La tranquillità che egli ha raggiunto apparentemente, a quasi cinquant'anni -«solterón, [...] casi calvo, pobre»- è in realtà noia e quasi vergogna -«acostumbrado ya al aburrimiento y a la vergüenza de ser feliz [...]»-181, una forma più profonda d'infelicità. La tranquillità è una sorta di morte dell'individuo; ciò spiega perché Larsen sia un personaggio così intimamente sentito da Onetti: in lui egli manifesta la sottile emozione della disgrazia, intesa come fatalità inevitabile.

Quando intervengono momenti decisivi nella vita degli uomini le nozioni di tempo non hanno soverchia importanza. Onetti sfuma, perciò, nel vago temporale l'incontro tra Larsen e Grey, che è incontro di due testimoni di un passato che torna vivo improvvisamente, senza tuttavia divenire attuale e operante: «Aquella noche, la de Hagen o cualquier otra, a las diez, Díaz Grey oyó el timbre de la calle»182. È la visita inattesa, l'incontro insperato, la felicità improvvisa ed egoistica del contatto con un'altra solitudine, che permette al dottore di comprovare ancora una volta l'assurdità e l'inutilità della vita umana.

Non v'è dubbio che il dottor Grey con i suoi ragionamenti, il suo atteggiamento di fronte agli uomini e all'esistenza, sia l'incarnazione dello stesso Onetti. Il solco tra i due uomini, Grey e Larsen, ora uniti da una calda comprensione del destino, da un lato, e dall'altro dal ricordo e dalla fiducia in un'onorabilità del passato, si fa mano a mano più profondo durante la conversazione, che acquista dimensione attraverso i monologhi interiori del dottore, nei quali passato e presente si fondono, individuando un futuro già segnato amaramente.

Onetti riesce abilmente a rendere la dimensione drammatica di Larsen attraverso l'intersecarsi di più piani visuali. La sua solitudine esce accentuata dalle considerazioni interne del suo interlocutore, che vede lucidamente l'equivoco in cui egli è caduto nell'interpretazione della vita: «se está imaginando la vida como un territorio infinito y sin tiempo, en el que es forzoso avanzar y sacar ventajas»183. La scelta di Grey è ben altra, s'intende; ma che Larsen sia un illuso è inesatto; egli ha un'elementare coscienza, piuttosto, dell'inutilità dei suoi atti per modificare il destino, e al tempo stesso dell'inevitabilità dei medesimi: «Uno hace cosas, pero no puede hacer más que lo que hace. O, distinto, no siempre se elige»184.

Il dottor Grey ha invece una coscienza chiara del significato della vita; egli sa che l'unico fine dell'esistenza è la morte e nell'incapacità dell'uomo di accettare questa conclusione vede la prova della sua impotenza185.

Il dialogo tra Larsen e il dottore, nell'ora notturna, filtrato attraverso una pioggia insistente, con un sottofondo musicale che si potrebbe definire «parlante», acquista un senso acuto di irrealtà proprio per la profondità dei temi trattati e la disparità degli interlocutori sul piano intellettuale. Onetti rende in Grey la stanchezza dell'uomo pervenuto al segreto negativo dell'esistenza e che, sfiduciato nella propria capacità di convincere l'interlocutore, sicuro, anzi, in partenza, dell'inutilità di ogni tentativo in tal senso, si ripiega in sé lasciando libero corso unicamente alla riflessione, dominato da un vago rimorso per l'egoistica fruizione del prolungarsi di questo momento irreale, venuto a interrompere inaspettatamente la sua solitudine.

Dopo il dialogo con il dottor Grey, Larsen ripiomba gradualmente nel passato; egli se lo trova davanti, improvvisamente vivo, quando, a Santa María, apre la porta del «cafetín»:

«[...] Abrió la puerta y manoteó para cerrarla, a sus espaldas, mientras miraba el humo, las cabezas oscuras, la pobreza, el fugaz consuelo, el rencor indolente, la cara siempre asombrosa del pasado. [...]»186.



Onetti accentua la nota negativa dell'aggettivazione per far scadere nella banalità e nel rimpianto le sensazioni del protagonista. La ripetizione di un mondo immobile, sempre uguale, rende il senso della vita come «trampa» prestabilita, da tempo in attesa del protagonista. La riscoperta della prostituzione è per Larsen un segno della propria inutilità, perché, malgrado la sua assenza, nulla è cambiato187. Egli ha allora il primo «aviso creíble»188 della meccanica inarrestabile degli atti e finalmente la paura si impossessa di lui:

«Entonces [...] Larsen se resolvió, como quien prueba palpando un dolor, a dar entrada a la vanguardia del miedo, a la apostasía, a la parte más próxima del terror, debilitada, soportable, porque se embotó en el asedio, porque estuvo contagiándose de la calidad humana.»189.



La reazione, prima della fine, si concreta in un periodo di alienazione, che ha il suo teatro prevalentemente nella «casilla» di Gàlvez e come testimone la moglie di costui, con la sua maternità avanzata, dalla quale Larsen riceve un'impressione contrastante, di ribrezzo e d'attrazione al tempo stesso. La defezione di Gàlvez, che esce improvvisamente dalla commedia irreale che rappresentava, precipita le cose; la sua denuncia degli imbrogli di Petrus pone fine alla finzione e Larsen vede con terrore che le cose ormai sfuggono a ogni controllo:

«Era el miedo de la farsa, ahora emancipada, el miedo ante el primer aviso cierto de que el juego se había hecho independiente de él, de Petrus, de todos los que habían estado jugando, seguros de que lo hacían por gusto y de que bastaba decir que no para que el juego cesara»190.



L'inutilità della menzogna è ora il terrore di Larsen; egli prende coscienza, infatti, che dopo il vanificarsi delle sue costruzioni non esiste che la morte. La disperata ansia di àncore cui aggrapparsi è resa nell'attrazione-ripulsa che l'uomo prova per l'informe fantoccio della moglie di Gàlvez: egli la corteggia, ma rifugge inorridito dalla sua natura di procreatrice, poiché in essa vede il ripetersi costante del dramma della vita. Scrive esattamente Rodríguez Monegal che ciò che Larsen non sopporta è la vita; che egli sopporta la menzogna del sesso, quella delle «adolescentes en flor», quella dei vecchi visionari «con negocios en ruina», la menzogna della polizia e persino quella degli altri suicidi, «Pero cuando se enfrenta con la mujer rugiendo y sangrando, huye. Esa es la vida»191.

Rifiutata la menzogna, la farsa, anche Gálvez non trova soluzione diversa dal suicidio, e in questa decisione ritrova se stesso. Attraverso un improvviso accumularsi di fatti Onetti accelera, a questo punto, il ritmo del romanzo. La trappola della vita trascina vertiginosamente Larsen verso la distruzione. Intorno sta il coro delle relazioni anonime, delle impressioni vaghe a più voci.

Prima dell'impatto finale con la maternità della moglie di Gálvez, Larsen scende, trascinato dal destino, l'ultimo gradino della degradazione nell'avventura con la «criada» di casa Petrus. Ciò significa il fallimento definitivo di tutti i suoi progetti, il concretarsi di un richiamo che fin dall'inizio della sua impresa stava esercitandosi su di lui. Nella stanza della donna l'uomo si acquieta quasi, nella coscienza dell'irrimediabilità di quanto sta per accadere: «Larsen sonrió en la penumbra: "Nosotros los pobres", pensó con placidez»192.

Onetti rende con una nota intensamente patetica il fallimento finale del personaggio, facendo scaturire da tale fine una sfumatura di sottile poesia. Larsen percepisce, con un senso di amarezza e al tempo stesso di pace ritrovata, che quest'ultimo atto rappresenta, in fondo, il ritorno alla dimensione che gli era propria e dalla quale assurdamente aveva tentato di uscire. Il tempo intercorso tra il primo incontro con Josefina e quello decisivo dello accoppiamento è stato, in definitiva, un lungo e inutile intervallo. Nella nuova situazione lo scrittore rappresenta la dimensione della sconfitta del protagonista; la donna è una realtà inquietante nella sua corposità; Larsen vede che essa lo osserva «como en un reencuentro, los ojos cínicos y chispeantes, la gran boca ordinaria que mostraba ahora los dientes a la luna»193.

Nella fine di Larsen si compendia l'assurdità della vita. Onetti sottolinea il contrasto tra il sogno e la realtà; egli fa percepire al protagonista odori diversi, che sanno di normalità apparente, ma che, in sostanza, confinano con la nota della disperazione; la stessa che scaturisce dagli ornamenti e dagli oggetti della camera della donna: un letto di ferro tintinnante, il catino e la brocca di rozza maiolica verde, lo specchio incorniciato di rigido «tulle» ingiallito, fotografie di comici e di attori, immagini di santi e di Madonne, l'ingrandimento a lapis del volto di una vecchia defunta194. L'interno, descritto a rapidi tratti, ma minuzioso nei particolari, respira un gelo di morte e richiama a Larsen altri panorami consimili. Soprattutto gli odori, correnti e volgari, hanno la funzione di rendere il senso negativo dell'ambiente, quindi dell'avventura:

«[...] Y el olor, la mezcla que nunca podría ser desalojada, de encierro, mujer, frituras, polvos y perfumes, del corte de tela barato guardado en el armario»195.



L'accumularsi di elementi negativi dà ragione del terrore di Larsen, che in essi recupera la miserabile adolescenza dimenticata, e conferma il gelo presentito, entrando nella stanza, dell'incontro con un mondo ostile:

«Entonces Larsen sintió que todo el frío de que había estado impregnándose durante la Jornada y a lo largo de aquel absorto y definitivo invierno vivido en el astillero acababa de llegarle al esqueleto y segregaba desde allí, para todo paraje que él habitara, un eterno clima de hielo»196.



Il ritorno al passato, nell'avventura finale, si presenta al protagonista come una «sesión de espiritismo», qualcosa di vago, di nebuloso, che chiunque avrebbe potuto vivere197. Lo scrittore accentua, con le note di una realtà negativa che Larsen avrebbe voluto fuggire, l'irrealtà in cui naufraga la sua vita, che è la vita di ogni uomo. Attraverso queste sensazioni Larsen riscatta se stesso e raggiunge la «perfecta soledad»198. L'altra trappola, rappresentata dalla moglie di Gálvez, fa fuggire l'uomo tremante di paura e di ribrezzo: «Temblando de miedo y asco se apartó de la ventana y se puso en marcha hacia la costa»199.

È a questo punto che Larsen acquista coscienza della propria fine; egli vede con lucidità l'avanzare rapido e irrimediabile della vecchiaia, e quando s'imbarca a Puerto Astillero diretto verso il nord, senz'altra meta certa che la fuga, continua a percepire con chiarezza crescente il rumore della rovina nelle cose, con un udito che accentua il senso negativo delle sue disgrazie:

«[...] Sorda al estrépito de la embarcación, su colgante oreja pudo discernir aún el susurro del musgo creciendo en los montones de ladrillos y el del orín devorando el hierro»200.



La stessa sensazione persiste nella bivalente versione della partenza dal teatro delle sue sventure:

«[...] Larsen, abrigado con las bolsas secas que le tiraron, pudo imaginar en detalle la destrucción del edificio del astillero, escuchar el siseo de la mina y del abatimiento»201.



Onetti fa più acuto il senso fatale della frustrazione di Larsen situando l'ultimo atto della sua esistenza ai confini dell'inverno, tra i primi annunci della primavera, del rinnovarsi, cioè, di un mondo per il quale è ormai finito:

«Pero lo más difícil de sufrir debe haber sido el inconfundible aire caprichoso de setiembre, el primer adelgazado olor de la primavera que se deslizaba incontenible por las fisuras del invierno decrépito [...]»202.



Il dato reale, la morte del personaggio per polmonite, a El Rosario, avanti la fine della settimana, suggella la crisi che aveva accelerato la sua corsa in un non lontano 22 d'agosto, giorno, precisamente, in cui Larsen era tornato improvvisamente ad avere coscienza dell'inverno e della vecchiaia203.

La mancanza di un intervento diretto da parte dello scrittore, la possibilità bivalente della fine del personaggio, accentuano il significato drammatico di Larsen. Egli rappresenta l'uomo comune, in balia della fatalità, sconvolto da una realtà che gli si offre sotto aspetti costantemente negativi, non di rado irreali e allucinanti, e che nasconde un destino segnato fin dalla nascita, al quale tutto sottostà. La banalità degli avvenimenti, la voluta secchezza e il grigiore della trama, sono espedienti cui Onetti ricorre per sottolineare la dimensione della tragedia del protagonista. Che la vita sia un gioco di realtà-irrealtà appare dimostrato e il messaggio che il narratore trasmette nel romanzo non potrebbe essere più negativo, né più umanamente avvincente la sua enunciazione. Scrive Jaime Concha, opponendosi a H. A. Murena -il quale interpreta l'opera di Onetti come un tentativo di spingere la società di cui tratta alla sua fine204-, che condannato a muoversi in una esistenza sociale che odia, ma dalla quale non può fuggire, lo scrittore sceglie come unici valori gli antivalori di detta società, elaborando un'etica dell'immoralità, in cui l'abbietto, il sordido, il clandestino hanno un prestigio purificatore «en cuanto formas degradadas por una sociedad que es ella misma el origen de toda degradación»205. Ma ne El astillero l'interesse del lettore è continuamente stimolato non dai fatti, dagli accadimenti esterni, bensì dalla complessità interiore del protagonista e degli altri personaggi, dalle loro intime reazioni, dalla capacità di riflessione di fronte alla realtà, dall'inquietante coscienza del fallimento, dalla vanità della lotta con cui l'uomo tenta di opporsi a tale fallimento, precipitando così la propria rovina.

Nel tentativo di resistere all'attrazione del vuoto Larsen accelera, infatti, i tempi della propria distruzione, in un certo senso autodistruggendosi, e offre al lettore non una soluzione, ma una serie di interrogativi senza risposta, poiché ad essi, come afferma José Donoso, nessuno saprà mai rispondere206.



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