Al tema della dittatura torna nel 1974 anche Alejo Carpentier, con El recurso del método. Nel 1972 egli aveva dedicato al tema, come si è detto, un romanzo breve, El derecho de asilo, passato piuttosto sotto silenzio dalla critica, meritevole invece di maggiore attenzione, sia per la novità che presenta nel tema della dittatura, sia perché prelude chiaramente al romanzo successivo, uno dei risultati più notevoli dello scrittore cubano.
Costituito di
sette capitoli brevi, El derecho de asilo denuncia, in sintesi efficace,
la natura del sistema dittatoriale. Alejo Carpentier allude
brevemente alla conquista spagnola e alle successive guerre per
l'indipendenza, ai numerosi «cuartelazos»
e
«golpes»
di cui abbonda
la storia dell'America indipendente, e scrive con amara ironia:
«[...] Y, bajo la égida de los héroes, se pasará un siglo en cuartelazos, bochinches, golpes de estado, insurrecciones, marchas sobre la capital, rivalidades personales y colectivas, caudillos bárbaros y caudillos ilustrados [...]»250. |
Il narratore pone
sotto accusa, come si vede, tutta la storia contemporanea
dell'America Latina. Ne El derecho de asilo è individuabile il tema
che verrà sviluppato ne El recurso del método, la metamorfosi della
dittatura sotto la patina della «ilustración»
; e
tuttavia il dittatore permane fedele, nelle sue caratteristiche
fondamentali, al prototipo del «Señor
Presidente»
di Asturias. Nel breve romanzo
Alejo Carpentier denuncia le violenze di un sistema
tradizionalmente brutale, che si avvale dell'esercito e della
polizia per mantenersi al potere, ricorrendo alla tortura, non solo
al carcere, e all'eccidio:
«[...] la policía disparaba sobre una manifestación de estudiantes que protestaban contra el general Mabillán, por su intento de reforma de la Constitución, encaminado a asegurarle una permanencia de ocho años en el poder, con posible reelección si el pueblo la determinaba mediante plebiscito»251. |
Un ex-Segretario
della Presidenza e del Consiglio dei Ministri, dal suo rifugio
presso l'ambasciata di un paese «hermano»
, osserva lo
svolgersi degli eventi con una conoscenza dall'interno delle cose,
e sottolinea ciò che la dittatura implica:
«[...] Por lo demás, conocía todos los pormenores de la represión que seria aplicada con sana singular al primer grupo de estudiantes capturados, lo de las cárceles repletas, [...]; lo de las humillaciones, las torturas ya clásicas, practicadas por la Gestapo y la F. B. I. americana; el tormento consistente en parar a un hombre durante doce horas sobre un viejo caucho de automóvil. Pero ahora habían entrado los fenómenos en escena: los sádicos, los copuladores legalizados, los tarados de toda índole, regidos por «El Gavilán», aquel que tenía tan largas y duras las uñas de los dedos índices y pulgares que podía hundirlas rápidamente, con horribles desgarramientos, en una garganta humana. Esto sin hablar de los violadores y proxenetas, dotados ahora de “carnets” y credenciales para poder demostrar, en todo caso, que habían pasado a ser agentes de la Policía Política del Gobierno».252 |
Il tema è
eternamente lo stesso, perché questa è la
realtà del sistema. Carpentier vi aggiunge una scoperta nota
di condanna per l'apporto statunitense. Infatti, la repressione si
presenta «migliorata», se così si può
dire, con i metodi nordamericani. L'ambasciatrice del paese
«fratello» -che si è intanto innamorata del
rifugiato- inorridisce davanti alla strage, ed esclama: «Estos policías de
tu país son unos bárbaros»
.
L'ex-segretario completa: «Y más ahora que tienen instructores
norteamericanos»
253
.
Ne El derecho de asilo, non
v'è dubbio, Alejo Carpentier fa propaganda politica, ma in
sostanza denuncia una realtà dolorosa continuamente
confermata anche da avvenimenti recenti. Si pensi al Cile e alla
caduta di Allende. I generali che si impadroniscono dello stato non
pensano a cose grandi, intendono solo sfruttare il paese, e lo
fanno con la violenza e un'abilità politica istintiva, senza
troppe complicazioni, che tiene sempre conto di una realtà
condizionata dalla presenza militare ed economica degli Stati
Uniti. Carpentier la denuncia con chiarezza nel breve romanzo. La
«cuestión de
límites»
, che il generale
impadronitosi del potere ravviva per ragioni di politica interna,
per distrarre il popolo dalla violenza del «golpe»
, si attenua
immediatamente e si risolve quando entrano in gioco gli interessi
statunitensi. Questo fatto e la necessità di avere a
disposizione un «ejército represivo
interno»
per opporsi a manifestazioni,
sfilate e scioperi, per far osservare il coprifuoco, «allanar casas y
empresas, patrullar las calles, etc.,
etc.»
254,
porta a una politica di tolleranza e di cooperazione col paese
vicino: «Nada de problemas
internacionales»
, esclama il nuovo despota;
e Carpentier aggiunge: «Y
más ahora que los Estados Unidos habían adquirido
grandes concesiones mineras en territorio
litigioso»
255.
Non si dimentichi
che già Asturias, nella «trilogía
bananera»
, aveva denunciato la criminale
pretestuosità della «cuestión de
límites»
, per quanto si riferiva al
Centroamerica; e aveva anche rilevato il ricorso, da parte di
governi dispotici, espressione di interessi stranieri, alla
retorica «patriotera»
, che
serviva a infiammare, per meglio ingannarlo e sottometterlo, un
popolo indifeso e innocente. Nella «cuestión»
,
Miguel Ángel Asturias denunciava la mano delle diverse
imprese economiche nordamericane operanti nei paesi dell'America
Centrale, rivali per interessi, mentre Carpentier insiste sulla
natura pretestuosa del dissidio come mezzo del potere per
addormentare le coscienze e distrarre il popolo dalla sua
tragedia.
Nel romanzo lo
scrittore cubano sottolinea con mordente ironia e amaro umorismo la
retorica dei dittatori. Nel primo discorso alla nazione il generale
giunto al potere rappresenta la farsa di sempre, tocca il tasto del
patriottismo, ricorre all'evocazione degli eroi dell'Indipendenza,
parla della «Libertad
recobrada»
, della «Justicia
venidera»
-si noti, sempre «futura»
-, della
«Bandiera»
,
dell'«Ejército
depositario de las más gloriosas tradiciones y otras cosas
por el estilo»
256.
La sottolineatura è palese critica demolitrice in
Carpentier. Il nuovo despota si rifa ipocritamente all'ideologia
dei grandi uomini dell'America e annuncia per il martedì
successivo un giorno «normal»
, benché
-si colga l'intenzione dello scrittore- «se mantendría el
toque de queda a las 4 p. m.»
257;
promette infine «grandes obras
públicas»
, sicura fonte di guadagno
per lui, attraverso furti colossali.
Con la stessa
retorica frusta e superficiale il generale Mabillán pretende
di «galvanizar»
il popolo
intorno «al
patriótico empeño de una guerra
inminente»
258.
Con singolare abilità Carpentier denuncia, in breve sintesi,
che si costruisce su frasi non concluse, la retorica del
patriottismo di chi se ne vale per fini politici, formulando
un'efficace critica alla doppiezza del sistema:
«[...] Todo aquello de: “Sois hijos de los héroes que...”, “Sean nuestros confines un glorioso campo de batalla”, “Honor a quienes honores merecían”, “No hay muerte más bella que la que...”, etc., etc., etc., era repetido por la radio y TV a todas horas»259. |
Il narratore scava
profondamente nella situazione drammatica dell'America Latina, dove
«los golpes salen siempre
victoriosos»
260
-come si esprime, triste verità, l'ambasciatrice del paese
«fratello»
- e nei «golpes»
è
sempre il popolo che muore. Osserva l'ex-segretario dal suo
rifugio:
«Lo malo son los cadáveres, que nunca fueron de gentes del Country Club o de los barrios ricos, [...]. Los arsenales latinoamericanos nunca tuvieron clientela sino de pobres»261. |
El derecho de asilo è
un condensato, si potrebbe dire, di quanto avrebbe potuto
costituire un vero e proprio romanzo di estensione normale. Vi
compaiono i temi fondamentali della denuncia contro la dittatura,
incluso quello consueto della facile sessualità -ricordiamo
che Asturias inaugurò il tema, in America, come motivo di
condanna, di distruzione della «dignità»
esteriore dei rappresentanti del sistema, ne El Señor Presidente-;
nel breve romanzo Alejo Carpentier introduce il tema erotico -un
erotismo sempre «a prezzo»- con la medesima funzione.
Al Presidente deposto più che gli affari dello stato, e i
suoi sudditi, interessavano alcune «italianas de
primera»
262,
stanco com'era del «ganadito
criollo»
263
che gli procurava la Lola. Il «Primer
Magistrado»
-si noti l'ironia della
definizione-, qualche settimana prima del «golpe»
aveva
dichiarato: «Hemos llegado
a un punto en que necesitamos mujeres europeas, elegantes,
refinadas y con
conversación»
264
. Da parte sua il nuovo dittatore non si allontana,
fondamentalmente, da questo genere di preoccupazioni. Lo dimostra
la gran farsa finale, nella quale vediamo l'ex-segretario, ormai
ambasciatore del paese «fratello», alludere, tra il
sornione e il complice, all'argomento265
. La risata d'intesa che suggella il colloquio pone termine
definitivamente all'inimicizia tra i due personaggi e dà nel
contempo l'ultimo colpo alla distruzione dell'apparente
«onorabilità» della dittatura.
Durante tutto il
periodo di esilio in patria Pex-segretario osserva da una posizione
privilegiata la farsa dolorosa del potere. Dal suo «tiempo sin
tiempo»
266;
egli pone sotto accusa il sistema, del quale, peraltro, sotto il
Presidente anteriore era stato parte. Si sarebbe tentati di pensare
a una relazione tra il personaggio e Cara de
Ángel, del Señor Presidente; anche se non
esistono punti concreti di contatto tra i due, non sembra dubbio
che il ricordo del favorito di Asturias abbia operato sullo
scrittore cubano. Cara de Ángel, tuttavia, si innamora e si
perde; mentre l'ex-segretario, innamoratosi dell'ambasciatrice, si
salva e prospera. E inoltre, benché «bello y malo como
Satán»
267,
Cara de Ángel è
fondamentalmente un ingenuo, mentre il personaggio di Carpentier
è un uomo abile, di varia cultura, e soprattutto conosce gli
uomini. Perciò egli si salva e torna a operare, in una
società che per lui non ha segreti, per negativi che siano,
rimettendo di nuovo in marcia il tempo che sembrava essersi
fermato:
«[...] el jueves volvieron los días, con sus nombres, a encajarse dentro del tiempo dado al hombre. Y empezaron los trabajos y los días»268 . |
El recurso del método
non è certamente l'ampliamento de El derecho de asilo. Tra i due romanzi
vi è solo un punto di contatto concreto, alla pagina 26 de
El recurso,
che potrebbe considerarsi ripetizione di quanto Carpentier scrive
nel romanzo breve esaminato, quando il «Primer
Magistrado»
, protagonista del libro,
proclama il proprio orgoglio per aver chiuso nel suo paese il ciclo
delle rivoluzioni, «tras
un siglo de bochinches y
cuartelazos»
269.
In modo identico, si è visto, Carpentier si era espresso
intorno all'inquieta storia dell'America indipendente ne
El derecho de
asilo.
Benché
El recurso del
método insista su temi noti, quelli di una
realtà politica che si ripete continuamente sotto il segno
della dittatura, il romanzo è completamente nuovo, sia per
struttura che per stile, per la profondità con cui l'autore
tratta i temi e l'abilità con la quale muove i personaggi.
In sette capitoli, formati di diverse parti, numerate
progressivamente a partire dal primo -che presenta solo una parte,
mentre quattro ne presenta il secondo (2, 3, 4, 5), tre il terzo
(6, 7, 8), cinque il quarto (9, 10, 11, 12, 13), tre il quinto (14,
15, 16), due il sesto (17, 18), tre il settimo (19, 20, 21)- e di
un breve epilogo posto sotto l'anno 1972 (parte 22), il narratore
rappresenta e giudica tutta una vita di dittatore latino-americano,
al quale non attribuisce nome concreto, identificabile, ripetendo
l'espediente di Miguel Ángel Asturias ne El Señor Presidente.
Ciò nonostante lo scrittore cubano ha dichiarato, in una
conversazione270,
che la presenza dell'esperienza dittatoriale dell'epoca di Gerardo
Machado a Cuba è sempre dominante in lui e si riflette nel
libro; in esso egli si è proposto di presentare un
«ritratto-robot» della dittatura, sullo sfondo di un
complicato «paese-robot» latinoamericano, così
che il romanzo diviene «un
compendio de la dictadura y del mundo también natural de
América»
271.
Attraverso la
figura del «Primer
Magistrado»
si può pensare
facilmente che Alejo Carpentier si proponga di soppiantare nel suo
significato simbolico, di simbolo universale della dittatura, il
«Signor Presidente» di Asturias. Per il momento occorre
chiarire che la presenza della dittatura di Machado si avverte nel
libro solo vagamente, poiché le «fechorías»
delle dittature sono tutte uguali. Gerardo Machado è
menzionato direttamente alla fine de El recurso del método, quando
«el
Estudiante»
-riuscito ad abbattere il
«Poderoso»
promuovendo
uno sciopero generale- sente il suo nome pronunciato dal cubano
Julio Antonio Mella, personaggio storico reale, che partecipa alla
«Primera Conferencia
contra la Política Colonial
Imperialista»
di Bruxelles. Mella menziona
Machado per rilevare la differenza che intercorre tra il dittatore
cubano e il «Primer
Magistrado»
, protagonista de El recurso, perché
il primo, «siendo muy
inculto, no erigía templos a Minerva como su casi
contemporáneo Estrada Cabrera, ni era afrancesado, como
habían sido otros muchos dictadores y 'tiranos ilustrados'
del Continente»
272.
La menzione di Estrada Cabrera -insieme a quella di molti tiranni d'America, incluso il Dottor Francia del Paraguay-, che si ripete, ad esempio, a pagina 217 -, conferma, a mio avviso, l'operante presenza de El Señor Presidente, anche se, com'è naturale, Carpentier doveva ricordare soprattutto la propria esperienza.
Seguendo,
tuttavia, più il Valle-Inclán di Tirano Banderas che Asturias,
lo scrittore cubano situa geograficamente il paese sul quale il
«Supremo
Magistrado»
esercita il suo potere in un
composito mondo tropicale centro-americano -il dittatore parla
persino delle «nuestras
Tierras Calientes»
273;
il sottotitolo di Tirano Banderas è «Drama de Tierras
Calientes»
-, ma allude anche a un porto, ai
monti, alle Ande, e confonde il lettore con una serie immensa di
particolari, descrivendo feste di carnevale piuttosto cubane, riti
funebri alquanto messicani, una vegetazione tropicale esuberante,
fatta di colori e di aromi intensi e inebrianti, cascate e vulcani.
Questo mondo viene poi popolato di una altrettanto
«despistante» mescolanza razziale di «indios, negros, zambos,
cholos y mulatos»
, dove «sería dificil
ocultar a 'los cafres'»
274.
Per il dittatore, frequentemente lontano, a Parigi per lunghi
periodi, questo mondo si concreta in un «alla» che
accomuna odio e amore, rifiuto e nostalgia, perciò sfuma
ancor più i propri contorni reali. Ma questo mondo urente
è scenario quant'altro mai idoneo a sottolineare il dramma
della dittatura, considerata nell'ambito non di un solo paese,
bensì estesa a tutto l'ampio continente americano.
Quanto al dato
temporale, Carpentier empie il romanzo di date riferentisi a giorni
e a mesi, indica anche anni, ma senza chiarirli esattamente nella
loro temporalità. Benché gli avvenimenti, i
personaggi -letterati, artisti, uomini politici- cui nel romanzo il
dittatore allude, permettano di situare l'azione in un periodo che
va da un'epoca che precede la prima guerra mondiale all'immediato
dopoguerra, assumendo alla fine una proiezione più vasta
come denuncia del ripetersi del dramma, attraverso la data
improvvisamente definita dell'epilogo, 1972. Il «tempo
eterno» della dittatura, denunciato ne El Señor Presidente con
la ripetizione di una stessa scena, quella dei prigionieri diretti
al carcere, è ottenuto da Carpentier ricorrendo all'anno,
1972, sul quale conclude il romanzo; ciò indica che la
situazione dell'epoca del «Supremo Magistrado»
-e
quella di epoche anteriori, richiamate dalla menzione dei vari
dittatori, da Rosas a Porfirio Díaz, ai Dottor Francia- non
è mutata sostanzialmente, anzi si ripete, come una
condanna.
A parte le
citazioni, a mo' di epigrafe, che, tratte da Descartes e dal noto
Discours,
introducono in ognuno dei capitoli, infittendo con il succedersi
dei paragrafi di cui ogni capitolo si compone, il lettore riceve
fin dal titolo del romanzo l'impressione di trovarsi di fronte a un
libro fortemente intellettualizzato. Tuttavia non sa ancora che
cosa significhi, nell'intenzione del romanziere, l'uso di «recurso»
in luogo di
«discurso»
, come la
memoria letteraria gli suggerirebbe, ma è preparato a
qualcosa di inedito e di pregnante. La spiegazione si ha solo nel
paragrafo 8 del terzo capitolo, allorché lo scrittore
presenta il dittatore di fronte alla rivolta del generale Hoffmann,
deciso, una volta sconfitto il ribelle, a eliminarlo: «No había
más remedio. Era la regla del juego. Recurso del
Método»
275
.
Le citazioni dal
Discours
cartesiano accompagnano il lettore per tutto il romanzo, come un
suggestivo breviario, partendo dal proposito, denunciato nel primo
capitolo, non di insegnare il metodo che ognuno deve seguire
«para guiar acertadamente
su razón»
, ma solamente di mostrare
in qual modo il despota abbia cercato di guidare la
propria276
. Così che il testo di Descartes assume la funzione di un
nuovo Principe del Machiavelli. L'«illustrato»
dittatore, ostinatamente «afrancesado»
intellettualmente, ascolta dalla bocca del suo nobile amico, e
fallito scrittore drammatico, l'«Ilustre
Académico», la giustificazione cartesiana della
propria condotta politica: «[...] bien lo había dicho
Descartes: Los soberanos tienen el derecho de modificar en
algo las costumbres»
277.
Il secondo
capitolo del romanzo si apre presieduto dall'osservazione
cartesiana che «tan empecinado está cada cual
en su criterio, que podríamos hallar tantos reformadores
como cabezas hubiese ...»
278.
La citazione introduce il confronto tra il regime dittatoriale e le
idee socialiste, tra oppressione e libertà. Ma già il
paragrafo numero 4 del secondo capitolo presenta anch'esso,
inaspettatamente, una citazione dal filosofo francese intorno a
ciò che si intende per «corpo»: «todo aquello que puede llenar un espacio de tal manera
que cualquier otro cuerpo queda excluido de
él»
279.
Ed è, nella «ficción»
,
l'eliminazione violenta del generale ribelle Ataulfo Galván,
il cui corpo, dopo la fucilazione, viene gettato ai «tiburones»
.
Il paragrafo
numero 5 del medesimo capitolo avverte, con parole sempre di
Descartes, che «Los
soberanos tienen el derecho de modificar en algo las
costumbres»
280.
La frase era già stata citata, come si è visto,
dall'Accademico; nella vicenda del romanzo significa l'eliminazione
in modo singolare del giovane generale Becerra, il quale, assediato
nella Nueva Cordoba dalle truppe del «Supremo
Magistrado»
, è invitato a
parlamento, e in tale occasione, «more»
non insolito,
viene convinto con argomenti decisivi a lasciar libero il
campo:
«[...] sin estrépito ni gesto que pudiese herir su honor, se le disparó un cañonazo de cien mil pesos con algo también -ñapa de varios ceros- para los dos tenientes que lo acompañaban. Y al crepúsculo, las banderas blancas fueron izadas sobre las trincheras y blok-hauses, anunciándose a los habitantes de Nueva Córdoba, mediante proclama, que la capitulación -considerándose el superior armamento de las fuerzas gubernamentales- había sido aceptada con el humanitario fin de evitar inútiles derramamientos de sangre...»281. |
Carpentier incide
con ironia amara in una situazione ricorrente. Solo il negro Miguel
Estatua e gli studenti, «los
de la inteligencia, los de la mandarria y los de la alcuza, los de
la alpargata y los del
huarachel»
282,
lottano fino in fondo. Ma il cannone ne ha ragione; infatti il
dittatore, preoccupato per la presenza in acque territoriali dei
«marins» nordamericani, con la prospettiva di un
intervento se la situazione non si risolve rapidamente, decide di
ricorrere alla maniera forte. Ed è la bestialità
consueta della truppa:
«[...] Y entonces fue la ralea: las tropas sueltas, desbandadas, incontenibles, se dieron a la caza de hombres y de mujeres, a bayoneta, a machete, a cuchillo, sacando los cadáveres traspasados, abiertos, descabezados, mutilados, al medio de las calles, para mejor escarmiento [...]»283. |
Sono i disastri
della guerra civile, sui quali anche Miguel Ángel Asturias
ha insistito più volte, soprattutto in Week-end en
Guatemala; si ricordi «Ocelotle 33». All'azione
del «Supremo
Magistrado»
, ne El recurso del método, segue la
considerazione cinica che «en política, lo que cuenta es el
éxito...»
284.
Carpentier pone quindi in rilievo lo sfruttamento della situazione
attraverso la gran farsa del plebiscito, che il dittatore manovra
con tale abilità che alla fine deve inventare 4781 voti
-contrari cifra ottenuta «a tiro de dados»
dal
Dottor Peralta, suo fedele segretario-, «para mostrar la total
imparcialidad con que habían trabajado las comisiones
escrutadoras...»
285
.
Nel romanzo Alejo
Carpentier scrive una pagina nuova sul tema, quando, con ironia
mista a nero umorismo, presenta il dramma, di una falsità
grottesca, del «Supremo Magistrado»
che si dichiara risoluto ad abbandonare il potere qualora il popolo
non lo riconfermi plebiscitariamente; nel frattempo resta al suo
posto, con «encomiabile» senso di
responsabilità, per il disbrigo degli affari correnti;
Carpentier sottolinea: «con
la noble y serena melancolía -por no decir dolor padecido
con dignidad- de quien ya no cree en nada, ni en nadie, herido a lo
hondo, después de tanto haberse desvelado por el bien de los
demás. ¡Miserias del poder! ¡Clásico
drama de la corona y de la púrpura! ¡Amarga vejez del
príncipe!...»
286
.
La farsa delle elezioni, nel romanzo, ricorda quella denunciata da Gabriel García Márquez in Cien años de soledad; ma non si tratta che di una realtà che continuamente si ripete sotto regimi dispotici.
La citazione
cartesiana che inaugura il terzo capitolo, «Todas las verdades pueden ser percibidas claramente, pero
no por todos, a causa de los
prejuicios»
287,
introduce l'amarezza e il disorientamento del despota davanti alla
diserzione degli amici francesi, quando i giornali parigini
pubblicano i resoconti e le fotografie delle sue gesta di «Carnicero de la Nueva
Córdoba»
288,
come ormai lo chiamano, per la crudeltà della repressione.
Parigi, dove sempre aveva pensato di ritirarsi per attendere la
morte: «Cuando estuviese
cansado de las agitaciones y turbamulta de
allá»
289,
gli si presenta ora ancor più desiderabile:
«[...] Tierra de Jauja y tierra de Promisión, Santo Lugar de la Inteligencia, Metrópoli del Saber Vivir, Fuente de Toda Cultura, que, año tras año, en diarios, periódicos, folios, revistas, libros, alababan -luego de colmar una suprema ambición de vivir aquí- los Rubén Darío, Gómez Carrillo, Amado Nervo, y tantos otros latinoamericanos que de la Ciudad Mayor habían hecho, cada cual a su manera, una suerte de Ciudad de Dios...»290. |
Alejo Carpentier
ricorre di proposito, nel passo citato, a un'abbondanza vistosa di
maiuscole, al fine di sottolineare il suo dissenso personale nei
riguardi di così eccessivo entusiasmo, vero e proprio
«trastorno»
, provocato
dalla città in tanti latinoamericani. È a questo
punto che nel romanzo prende consistenza un'aspra
«querelle» tra l'eccellenza della civiltà
francese e quella di radice ispanica, difesa la prima dall'«Ilustre
Académico»
fallito, la seconda dal
«Supremo
Magistrado»
, il quale, ad un certo punto,
abbandona il suo francese colto «para lanzarse,
impetuoso, por el disparadero de un alud de improperios
criollos»
, contro l'uomo che osa chiamare
«una asonada de indios y
negros»
291
la rivolta che egli ha appena sedato nel paese. In aiuto
dell'indignato despota si lancia anche il Dottor Peralta,
allorché l'Accademico pronuncia l'infelice frase «L'Afrique commence aux
Pyrenées»
292.
Il contrattacco inizia con un violento «Je vous enmerde avec le sang espagnol»
;
quindi, passando in rassegna, «con exaltada
irreverencia»
, tutti i crimini dei
francesi, da quelli di Simon de Monfort e della Crociata contro gli
Albigesi, a quelli della Comune, per concludere che, per quanto
riguarda la Francia, se essa aveva avuto un Descartes, un Luigi
XIV, un Molière, un Rousseau, un Pasteur, ancor meno si
potevano giustificare i suoi delitti:
«La culture
oblige, autant que la noblesse, Monsieur
l'Académicien»
293.
È fuor di dubbio che, per quanto profonda sia la formazione culturale francese in Carpentier, nella «querelle» in questione egli è dalla parte del mondo ispanico.
Nello stesso
capitolo terzo, il paragrafo numero 7 avverte, con parole sempre di
Descartes, che «...
cuando mucho nos estimamos, mayores nos parecen las
injurias...»
294.
Ed è qui dove lo scrittore presenta il «Primer
Magistrado»
nel suo odio verso la Francia,
che ormai lo sfugge e lo disprezza. Nella guerra mondiale, appena
scoppiata -la prima, come si è detto-, egli intravvede la
possibilità di una lezione per l'orgoglio francese, e
improvvisamente si trasforma in moralista: «Las naciones entregadas
al lujo y la indolencia -decía- se abandonaban y
perdían sus virtudes
fundamentales»
295.
Per questo motivo era giusta una lezione:
«[...] a Francia le vendría bien un sacudimiento, una terapéutica de emergencia, un shock, para sacarla de un autosuficiente letargo. Harto engreída necesitaba una lección. Demasiado rectora del mundo se creía aún, cuando, en realidad, agotadas sus grandes energías, había entrado en una fase de evidente decadencia»296. |
Di qui la
decisione di simpatizzare per i tedeschi, in funzione
anti-francese. È una reazione provocata dal complesso di
inferiorità, ma anche -materia dolente per lo stesso
Carpentier, così legato al mondo culturale francese- da
un'istintiva reazione al disprezzo della Francia per tutto
ciò che è straniero: «Nada que fuere
extraño a su país interesaba al francés,
convencido de que existía para hacer las delicias de la
humanidad»
297
.
La politica,
tuttavia, non può essere guidata dal risentimento. Il
paragrafo 8 del terzo capitolo presenta una nuova e significativa
citazione da Descartes: «Mejor es modificar nuestros deseos
que la ordenación del mando»
298.
Per conservare il potere, infatti, il dittatore abbandona
abilmente, e a tempo, allorché entrano nella guerra gli
Stati Uniti, le simpatie per i tedeschi e si trasforma
improvvisamente in difensore della latinità. Ciò
avviene dopo un lucido esame della situazione, considerati tutti i
pericoli che,la permanenza tra i simpatizzanti delle potenze
avverse all'Intesa non può a meno di implicare.
Alejo Carpentier
denuncia duramente ciò che la dittatura significa, quando
avverte, attraverso le parole del despota, che i termini «Libertad, Lealtad,
Independencia, Soberanía, Honor Nacional, Sagrados
Principios, Legítimos Derechos, Conciencia cívica,
Fidelidad a nuestras tradiciones, Misión Histórica,
Deberes-para-con-la Patria, etc.,
etc.»
299
, hanno finito per assumere «un tal sonido de moneda falsa, plomo con
baño de oro, piastra sin
rebrinco»
300,
che il dittatore stesso si sente scoraggiato, cosciente della
perdita progressiva del proprio prestigio «tras de cada
tràcala, inventada para permanecer en el
poder»301.
E sempre con una tutela pesante, che il despota sopporta
perché non v'è rimedio, ma che gli pesa e gli duole,
come pesa e duole a ogni latinoamericano: quella dei «gringos»
, ai quali ha
dovuto far continue concessioni e che anch'egli, come tutti, odia
-«tonto hubiese sido
negarlo, eran universalmente detestados en el
continente»
302-
per il loro disprezzo verso i «latini»: «Sabíamos todos que nos llamaban
'latinos' y que, para ellos, decir 'latinos' era decir chusma,
morralla, mulatería y merienda
ñáñiga»
303.
La coscienza del
prestigio perduto, l'odio verso i «gringos»
, confessione
impotente della sua condizione di traditore del paese per
conservare il potere, dà una dimensione quasi umana al
dittatore. Sono proprio i «gringos»
che, per
opportunità politica, alla fine lo abbandonano -farsa che si
ripete nel tempo-, determinando la sua caduta; il loro appoggio va
ora all'avversario, il Dottor Luis Leoncio, vincitore, dopo lo
sciopero generale, e che ormai «cuenta con las fuerzas
vivas del país»
304,
le già alluse «fuerzas vivas de la Banca, del Comercio, de la
Industria»
305.
Alejo Carpentier
stigmatizza duramente in America Latina il tradimento continuo del
popolo da parte dei suoi governanti. Anche il Dottor Luis Leoncio,
infatti, non tarda a vendersi ai «gringos»
. Dal suo
esilio l'ex-dittatore segue, su giornali arretrati che giungono da
«allá»
, gli avvenimenti, l'azione
del «Sabio de la Nueva
Córdoba»
306,
e trae un sicuro oroscopo dal discorso inaugurale, che denuncia
l'avvento nel paese di un tempo immobile:
«Y cuando el orador remato su discurso en “¡Viva la Patria!”, habían sido tantos los “pero”, “sin embargo”, “no obstante”, “a pesar de lo dicho”, “siempre y cuando”, pronunciados antes, que los oyentes quedaron con la impresión de haber vivido en un tiempo totalmente detenido, ajeno al quehacer de los relojes, suspensión del Transcurso, ya que el Austero Doctor, al bajar de la tribuna, dejaba tras de sí un total vacío mental -cerebro en blanco, éxtasis agnóstico- en quienes lo habían escuchado... Y en los meses que siguieron todo fue desconcierto y confusión...»307. |
Il paragrafo che
corrisponde a questi avvenimenti, il numero 18 del capitolo sesto,
è significativamente presieduto da un'epigrafe cartesiana
tratta dal Discurso de la luz: «... puede ocurrir que, habiendo escuchado un discurso
cuyo sentido haya sido perfectamente entendido por nosotros, no
podamos decir en qué idioma fue
pronunciado»
308.
Il pessimismo di
Alejo Carpentier per quanto concerne i cambiamenti politici in
America è evidente. La commedia si ripete di continuo. Nel
paese dell'ex-dittatore, sui giornali che vengono di là,
presto si parla di «descontento»
dell'Esercito, e il despota caduto, da Parigi predice: «Golpe militar en
puertas»
309;
di «jóvenes oficiales»
, e il «Cholo»
Mendoza,
ex-ambasciatore dell'ex-Poderoso nella capitale francese commenta:
«En vez de machete,
metralleta»
310.
Si spiega, così, l'epigrafe cartesiana posta all'inizio del
capitolo quarto: «...
¿qué veo desde está ventana sino sombreros
y gabanes que pueden vestir espectros o bien fingidos hombres que
sólo se mueven por medio de
resortes?...»
311.
Prima della sua
caduta il «Supremo
Magistrado»
aveva dato il via a una nuova e
crudele repressione onde por fine agli attentati alla sua persona,
dapprima, poi per domare lo sciopero generale. Alejo Carpentier
penetra con viva partecipazione, ma anche con sottile ironia nel
dramma. Nel capitolo citato egli sottolinea la corruzione capillare
della gerarchia del regime, che fa del paese un grande mercato,
seguendo l'esempio del dittatore, il quale però opera in
grande, come padrone onnipotente:
«Amo de empresas de trasmano era Señor de Panes y Peces, Patriarca de Mieses y Rebaños, Señor de Hielos y Señor de Manantiales, Señor del Fuido y Señor de la Rueda, bajo una múltiple identidad de siglas, consorcios, razones comerciales, sociedades siempre anónimas, ignorantes de quiebras ni descalabros»312. |
La violenza sulla
quale la dittatura si sostiene è denunciata con spietata
ironia da Carpentier, allorché allude alla prigione
«modello», nella cui costruzione fa maestri gli
architetti nordamericani e per la quale il paese si pone in poco
invidiabile avanguardia: «En materia de Cárcel nos
habíamos adelantado a Europa -lo cual era lógico,
puesto que, estando en el Continente-del-porvenir, por algo
teníamos que
empezar...»
313.
Il lugubre luogo, che domina sinistramente El Señor Presidente,
appare presenza ancor più sinistra ne El recurso del método,
in quanto implica la sottomissione anche al potere straniero, una
dipendenza politica alla cui ombra si consumano tutti i delitti
contro la libertà. La lenta, ma inarrestabile, invasione
della presenza nordamericana si verifica anche nel campo
dell'istruzione e della lingua, spodestando lentamente l'influenza
della Francia. Si comprende, così, come l'esistenza e la
continuità della dittatura dipendano in tutto dai nuovi
padroni.
La situazione
è denunciata in particolare nel capitolo quinto, che si apre
all'insegna di un nuovo passo di Descartes: «soy, existo, esto es
cierto. Pero ...¿por cuánto
tiempo?...»
314.
È questa la situazione del despota di fronte alla presenza
straniera. Il «Primer
Magistrado»
si rende conto della
precarietà della sua posizione, ma poiché, secondo il
filosofo francese «...
hay mayor honra y seguridad en la resistencia que en la
fuga»
315,
come avverte l'epigrafe che presiede il paragrafo 16 del quinto
capitolo, egli tenta di imporsi con l'inganno e con la repressione
cruenta. Al terrore di un silenzio che si diffonde anche in
palazzo, salendo dalla città in sciopero, il despota
risponde facendo diffondere la falsa notizia della sua morte, e
quando la gente esultante esce per le strade la fa sterminare
dall'esercito:
«[...] Y las tropas avanzan, despacio, muy despacio, disparando siempre, pisando a los heridos que yacen en el piso, o rematando, a culata o bayoneta, al que se les agarra de las polainas y botas [...]»316. |
Ancora una volta
Alejo Carpentier denuncia, così, i crimini della dittatura.
Più tardi -si veda il capitolo settimo- l'ex-dittatore,
ricordando dal suo rifugio parigino «aquellos
tiempos»
, ormai in un'atmosfera in cui i
fatti «nimios»
vanno
acquistando, «puestos en
perspectiva y distancia, en contemplación actual, mayores
relieves de gracia, singularidad o
trascendencia»
317,
preso nella formula sacramentale quotidiana del «¿te acuerdas?
¿te acuerdas?»
318,
solleverà il sipario sulla sua azione di tiranno e
offrirà altri particolari intorno al suo governo e alla
propria corruzione, con evidente compiacimento:
«Como un fakir o ilusionista que, llegado a viejo, retirado de los escenarios, revela divertidamente las técnicas de sus escamoteos y milagros, recordaba El-Ex [...]»319. |
Il clima di
«añoranza-chochera»
presentato da Carpentier, nel quale il deposto dittatore rivela le
sue cattive imprese, come se fossero meritorie, pone in rilievo lo
sgretolamento definitivo delle virtù morali e finisce per
distruggere del tutto il personaggio. Con esattezza, presiedendo il
paragrafo 21 del settimo capitolo, Descartes avvertiva: «... esos insensatos se empeñan en hacer creer que
son reyes, stendo unos pobres, y que, estando desnudos, se visten
de oro y de púrpura»
320.
Sullo sfondo dei
ricordi dell'esiliato sta tutta la storia d'Europa e d'America,
quella della politica «gringa»
verso
l'America Latina del periodo tra la prima guerra mondiale e il
dopoguerra, politica che non ha subito quasi modificazioni.
Il dittatore di
Alejo Carpentier è un uomo corrotto, senza scrupoli, astuto
e violento, e tuttavia con una dimensione umana interessante, che
gli forniscono la sua cultura «afrancesada»
e una
viva sensibilità artistica. Il «Señor
Presidente»
di Asturias era un essere
elementare, un risentito, una creatura demoniaca chiusa nel suo
mistero, la cui malvagità si comprovava attraverso l'opera;
ed erano piuttosto le opere protagoniste del romanzo dello
scrittore guatemalteco. Ne El recurso del método, al contrario, il
«Primer
Magistrado»
-come sempre lo chiama
Carpentier, con evidente intenzione di rilevare il contrasto tra la
carica e l'indegnità dell'uomo- è il vero
protagonista. I personaggi che lo circondano -anche il Dottor
Peralta è un approfittatore, un trasformista, e conduce un
suo gioco politico, abbandonando il dittatore nella sua caduta, per
passare all'avversario- scompaiono di fronte al «Poderoso»
, che lo
scrittore va studiando dall'interno, dandogli una dimensione umana
che gli altri dittatori del romanzo ispano-americano non hanno.
Benché Carpentier abbia affermato che si tratta di un
«dittatore-robot», il «Primer
Magistrado»
è sempre più un
uomo, a mano a mano che il romanzo prende consistenza, un essere
con tutte le sue passioni, poche le buone, molte le cattive, con
una sensibilità viva, vero esempio, dapprima, del despota
«ilustrado»
, non certo
nel senso che questa espressione ebbe per l'Europa del secolo
XVIII, perché la sua «ilustración»
è solo cultura personale, senza conseguenze positive sul
paese, che domina e sfrutta solamente.
In apertura di
libro il despota è presentato con una conoscenza
impressionante dell'arte e della letteratura; egli parla anche del
Discours de la
méthode di Descartes321
e si rivela intenditore raffinatissimo di musica. Vale a dire che
il dittatore di Carpentier possiede tutta la cultura straordinaria
del suo creatore. La copiosa citazione di testi letterari e
musicali, di opere d'arte -pittura e scultura-, i competenti
giudizi su questi argomenti, danno al lettore una prima impressione
positiva del personaggio. Se non fosse per taluni particolari,
attraverso i quali lo scrittore va scavando la sua statura,
presentandolo lettore anche di opere pornografiche profusamente
illustrate322,
frequentatore di postriboli323,
volgare e brutale in avventure ancillari324,
fruitore di scenari erotici pervertiti325,
apprezzatore di fotografie licenziose «para estereoscopio
perfeccionado»
326,
grossolano nel frasario quando è adirato.
Malgrado tutto
ciò, il dittatore di Carpentier presenta anche aspetti
positivi, tra essi un istintivo attaccamento al mondo americano e
l'odio per i «gringos»
schiavisti,
per quella Casa Bianca che -come si esprime nella sua lucida
sbronza l'Agente Consolare nordamericano di Puerto Araguato,
allorché accoglie il despota in fuga- è il luogo
«donde se organiza la
rotación de uniformes, levitas y chisteras de estreno, que
gira y gira, en esta América Latina, trayendo sus ladrones e
hijos de puta [...] en cada vuelta de
manubrio»
327.
Se le situazioni
politiche tese riportano il dittatore, nella sua violenza, alle
origini natali di quasi «pata
en el suelo»
, il paesaggio americano
risveglia in lui positivamente il figlio della terra. E se con
lucida contrapposizione tra ciò che sono, rispettivamente,
Parigi e New York, proclama l'eccellenza della prima città
-«Por muy bien cortado que
esté un frac, puesto sobre el lomo de un yanqui parece
siempre un frac de
prestidigitador»
328-
quando è di ritorno al suo paese, ormai nel Caribe, sente
che l'aria ha un odore diverso: «El aire ya huele
distinto»
329
. Quindi, in vista di Puerto Araguato, s'intenerisce di fronte al
paesaggio:
«[...] Había contemplado yo -más enternecido ahora que antes por la traición del hombre de mi mayor confianza (il generale Ataulfo Galván)- el panorama portuario, desde la cubierta del guardacostas que me trajo, enternecido de pronto, con cursi pero irrefrenable lagrimeo, ante una arquitectura de casitas, de ranchos, encaramados unos encima de otros, a flanco de cerro, como frágiles barajas. Aflojando en mis iras por el reencuentro con lo mío, advertí en el pálpito de una iluminación, que este aire era aire de mi aire; que un agua ofrecida a mi sed, tan agua como otras aguas, me traía, de repente, remembranzas de olvidados sabores, ligadas a rostros idos, a cosas recogidas por la mirada, archivadas en mi mente. Respirar a lo hondo. Beber despacio. Vuelta atrás. Paramnesia [...]»330. |
Insistendo
sull'emozione del «reencuentro»
col suo
mondo, da parte del dittatore, Alejo Carpentier manifesta la sua
stessa passione americana. Lo stesso avviene più tardi,
quando l'ex-Poderoso, ormai in esilio a Parigi, vive teso al mondo
di «allá»
, che la «Mayorala»
Elmira gli
ricrea concretamente attraverso la tipica cucina «criolla»
. Anche la
figlia del dittatore, apparentemente sradicata ormai dal mondo
americano, di fronte alla tavola di Elmira esperimenta un «maravillado reencuentro
con el mundo ido»
331;
mentre l'ex-Primo Magistrato incomincia a vivere, «allí, bajo techo
de pizarra, en latitud y horas que eran de otra parte y de otra
época...»
332,
quella precedente, s'intende, alla sua acculturazione e al suo
«afrancesamiento»
.
In questa
occasione Alejo Carpentier scrive alcune delle sue pagine migliori,
interpretando l'urente mondo americano, dando corpo a un colorito
«bodegón»
, dal
quale si sprigionano aromi intensi, forti sapori:
«[...] Varias bandejas y platos presentaban ahí, como dispuestos en suntuoso bodegón tropical, los verdores del guacamole, los rojos del ají, los ocres achocolatados de salsas de donde emergían pechugas y encuentros de pavo, escarchados de cebolla rallada. Alineadas sobre una tabla de trinchar, había chalupitas y enchiladas, junto al amarillo de los tamales envueltos en hojas calientes y húmedas, que despedían vapores de regocijo aldeano. Había combures fritos, de los maduros, de los pintones -esos que habían aplastado a puñetazos-, de los menudeados en finas lascas, gracias al cepillo de carpintería. Y las frituras de batata, y las barquillas de coco doradas al homo, y aquella ponchera donde, en mezcla de tequila y sidra española, flotaban cáscaras de piña, limones verdes, hojas de menta y flores de azahar [...]»333. |
Il sapore di
quanto è americano vince, qui, tutto ciò che la
Francia rappresenta: il suo cartesianesimo e la raffinatezza
«civile». Colori, aromi, sapori si impongono sulla
«misura». Si potrebbe anche pensare che il narratore
intenda significare che, al tramonto della vita, l'exdittatore non
resiste al richiamo negativo delle origini, tornando al
«primitivo», al «selvaggio». Ma
l'entusiasmo di Carpentier nella descrizione citata afferma
esattamente il contrario, ossia il ritorno a qualche cosa di
straordinariamente positivo, come il riincontro con se stesso. E lo
conferma Ofelia, nella quale il cinismo e lo sradicamento dalle
cose del paese natale, ostentatamente affermati, sono
improvvisamente sconfìtti al contatto della sua bocca con un
«tamal de
maíz»
; in lei si manifesta una
emozione repentina, «venida de adentro, de muy lejos, de un palpito
de entrañas»
, che «le ablandó las
corvas, sentándola en una
silla»
334.
E d'improvviso il suo corpo «se aligeró de treinta
años»
335.
È questo il significato positivo della straordinaria
sinfonia barocca di forme, di aromi e di colori.
La dimensione del
dittatore nella sua sensibilità «americana»
era
già presente, come qualità positiva, fin dal momento
in cui tornava al paese per domare la rivolta del generale Ataulfo
Galván. Lo scrittore presentava in quell'occasione la figura
del despota in inattese dimensioni spirituali di fronte al
paesaggio:
«[...] Ver con los ojos del olfato, el dibujo de las hojas que crecen en oficio de tinieblas; representarme la arquitectura del árbol por la quejumbrosa flexión de una rama; saber del amaranto hongo de corteza por la permanencia de su hálito recobrado... [...]»336. |
In questo momento
il «Primer
Magistrado»
arriva anche a opporre al
sempre amato mondo parigino, immerso in un'immobilità dovuta
alla sua struttura secolare e alla sua organizzazione, o meglio,
sedimentazione, la «pulsión
visceral»
del mondo americano, «en gestación, aun
problemática en cuanto a formas, voliciones, impulsos y
límites»
337,
il suo vigore e il suo tormento, di mondo dove, «en la hora de
ahora»
, tutto è in movimento e in
trasformazione, dove
«[...] se trepaban las selvas sobre las selvas, se trocaban los estuarios, mudaban de curso los ríos abandonando sus cauces de la noche a la mañana, en tanto que veinte ciudades construidas en un día [...] caían en ruinas, de repente, andrajosas y abandonadas, apenas un salitre cualquiera hubiese dejado de interesar al mundo, apenas algún excremento de pájaros marinos -de esos que nievan los arrecifes de lechosas garúas- hubiese dejado de cotizarse en las Altas Bolsas, sustituido por algún invento en la probeta de químicos alemanes... [...]»338 . |
La grazia primitiva della natura, quale appare in un altro romanzo tra i più noti di Carpentier, Los pasos perdidos, rivive in questo passaggio, ma per meglio denunciare che il mondo americano è alla mercè del capitale straniero, che da un momento all'altro può decretarne la rovina. Ne El recurso del método la coscienza critica dello sfruttamento straniero è un particolare in più nella dimensione interiore del dittatore, malgrado non esista nella sua condotta azione conseguente con quanto egli pensa, e che, d'altra parte, significherebbe la sua perdita sicura.
La passione per la
civiltà porta il «Poderoso»
a
modernizzare la capitale dello stato, benché la
trasformazione sia da lui sentita come rovina di ciò che
è la sostanza vera del suo mondo:
«se angustiaba a veces
ante la modificación del paisaje visto desde las ventanas
del Palacio»
339.
Senonché la modernizzazione è anche un affare
finanziario, dal quale il despota ricava ricco provento.
Grandezza e
miseria del Principe, El recurso del método dà al
personaggio una dimensione ancor più umana nel momento del
tramonto e della perdita del potere. Con dura crudeltà
l'Agente Consolare statunitense di Puerto Araguato, udendo il
dittatore deposto, mormorare la frase latina «Memento homo ...»
340,
alla vista delle sue statue gettate in mare dalla moltitudine
inferocita, lo riprende avvertendolo: «No se cante tangos con
letra de Requiem»
341.
Quindi con gran cinismo gli presenta in prospettiva, «allá por el
año 2500 ó 3000»
, il trionfo
del nulla: quando le statue saranno ritrovate si ripeterà
ciò che avvenne per quelle dei romani, e la gente si
domanderà, senza trovare risposta, «¿Y quién
fue ese hombre?»
342.
Attraverso
l'esaltato senso della polvere Alejo Carpentier condanna
definitivamente il personaggio, ma al tempo stesso proietta su di
lui una luce che ne rende patetica la figura. Il «Primer
Magistrado»
acquista, nella rovina, la
dimensione toccante del principe caduto; la sua malvagità
sembra cedere di fronte al dramma della sconfitta e soprattutto
all'inevitabile oblio della storia. L'implacabile Agente Consolare
non dà tregua al dittatore sconfitto:
«[...] Pasará lo mismo que con las esculturas romanas de mala época que pueden verse en muchos museos: sólo se sabe de ellas que son imágenes de Un Gladiador, Un Patricio, Un Centurión. Los nombres se perdieron. En el caso suyo se dirá: “Busto, estatua, de Un Dictador. Fueron tantos y serán tantos todavía, en este hemisferio, que el nombre será lo de menos”. (Tomó un libro que descansaba sobre una mesa) “-Figura Usted en el Pequeño Larousse? ¿No?... Pues entonces está jodido”... [...]»343. |
Il
«Principe» spodestato confessa: «Y aquella tarde
lloré. Lloré sobre un diccionario
-«Je sême à tout
vent»- que me
ignoraba»
344
.
Il lettore coglie
con sorpresa questa nuova dimensione del dittatore nella delusione
e nella sofferenza, soprattutto tenendo conto della citazione di
Descartes che presiede il capitolo sesto: «... si la partida es harto desigual más vale optar
por una honrosa retirada o abandonar el juego antes que oponerse a
una muerte segura»
345.
L'avvertimento è di una pratica saggezza; il despota lo
segue, ma perché non può fare altrimenti, e da questo
momento la sua figura incomincia a costruirsi in dimensione
umana.
Nel capitolo
finale del romanzo, posto all'insegna della citazione cartesiana
che allude a una ritrovata saggezza -«Y
resolviéndome a no buscar más ciencia que la que
pudiese hallarse en mí
mismo...»
346
- Carpentier racconta il triste tramonto dell'uomo che fu potente.
Anche i cambiamenti effettuati nella casa parigina di Rue Tilsitt
dalla figlia Ofelia, che già lo credeva -o lo sperava?-
morto, sono segno del crollo del suo mondo e della sua potenza.
El-Ex, come «con
crispada ironía»
347,
ora, il «Primer
Magistrado»
chiama se stesso, denuncia un
vertiginoso tramonto; egli non intende più, infatti, il
mondo che lo circonda, e che si esprime anche attraverso un'arte
nuova, pittorica, plastica, musicale, quella d'avanguardia. Nella
sconfitta gli si presenta sempre più evidente la
perdurabilità del genio di una Francia cartesiana, dove
tutto torna a parlare di una permanenza come frutto di una
civiltà superiore, che l'ex-dittatore vede manifestarsi
anche nelle bottiglie di Suze, di Picón, di Raphael, di
Dubonnet348.
In un amaro «reencuentro»
torna il
ricordo degli altri dittatori caduti, miseramente finiti,
trascinati per le strade o espulsi e umiliati. In questo clima non
può più ripetersi la felice atmosfera parigina d'un
tempo; ciò che per un istante può restituire a
El-Ex l'illusione e l'euforia del passato è,
significativamente, solo la casa postribolare; essa rappresenta,
infatti, «lo único
permanente que, desde siempre -pechos más, pechos menos- era
aquí como allá, presencia y unicidad
dialéctica de formas irreemplazables, común idioma de
universal entendimiento [...]»
349.
Da parte dell'uomo
vinto e fisicamente distrutto è un tentativo drammatico di
sentirsi vivo. Ciò che Carpentier, con la profonda
vibrazione interiore delle sue definizioni, chiama «el gran Detenimiento de
las Horas»
350
, si concreta in un «sentir»
che è
esistere: «siento, luego
soy»
351
. Malgrado ciò, e malgrado il «reencuentro»
con il
mondo di «allá»
, per merito della
cucina della «Mayorala»
, della
musica popolare americana e della stampa arretrata -con gran
sensibilità lo scrittore interpreta il dramma della
nostalgia nell'esiliato-, l'uomo va riducendosi ombra di se stesso,
una «anatomía
desgastada que se esmirriaba de día en
día»
352.
In un tempo eterno, nella monotonia del meccanico succedersi delle
stagioni -«Pasaban los meses
en desalojos de castanas por fresas y fresas por castañas,
árboles vestidos y árboles desnudos, verdes y
herrumbres [...]»
353-
l'Ex, il «Patriarca»
come ormai
lo chiama Carpentier -quasi intendendo precorrere quello di
García Márquez- va restringendo sempre più
l'ambito della propria esistenza. La sua rovina si manifesta anche
nel logorio del cervello: «[...] era evidente que los mecanismos mentales
de quien tanto había urdido, calculado, combinado a lo largo
de una muy prolongada carrera, empezaban a
desorganizarse»
354
.
Lo scrittore ci
presenta il vecchio despota ormai «catarroso y
mojado»
, al ritorno da escursioni senza
meta logica, sottolinea il suo discorrere, che è piuttosto
vaneggiare, le idee fisse, ricorrenti. Si direbbe che il
personaggio abbia finito per prendere del tutto la mano all'autore,
tanto si umanizza. Alejo Carpentier lo presenta, infatti, nei suoi
ultimi giorni, in una statura gigantesca; nel suo aspetto esiste
«cierta majestad, cierta
fijeza»
che gli dà tono e stile,
com'è frequente nei grandi caduti in rovina, «los que, durante
años y años, impusieron su voluntad, hicieron la ley,
en algun lugar del mundo»
. E aggiunge:
«Bastaba que se acostara
en su chinchorro, para que ese chinchorro se volviera
Trono»
355.
Lí disteso l'Ex «se agigantaba, era
inmenso en su horizontalidad de inmortal ignorado por el
Pequeño Larousse»
356
.
Immerso in un
intermittente monologo interiore il vecchio dittatore trascorre gli
ultimi giorni della sua vita. Costretto dapprima a letto, si alza
di nuovo migliorato; ma è un uomo finito e solo può
godere dello spettacolo delle carni generose di Elmira. Carpentier
insiste sulla progressiva, e in fondo toccante, decadenza del
despota. Nel personaggio si fa largo il pensiero della morte, della
tomba, cui non di rado si rivolge come antidoto contro il dolore, e
nel dormiveglia dell'incoscienza lo agita la preoccupazione di
permanenza, la ricerca di una frase che permanga nella Storia.
Ultima menzogna, l'Ex trova questa frase tra le pagine
rosa del Piccolo
Larousse: «Acta est fabula»
. Ma
nessuno la intenderà chiaramente, né saprà
decifrarne il significato, allorché morendo la
pronuncerà. Inutile impegno di sopravvivenza.
Attraverso tanti particolari Alejo Carpentier rende umana la figura dell'ex-Primo Magistrato. Il lettore ne resta profondamente impressionato, soprattutto quando lo scrittore presenta il personaggio circondato dalla più completa solitudine, privo di affetti, accentuando il senso della sua miseria, risultato inevitabile di un'azione terrena di despota crudele, e giusta condanna.
Alla fine del
capitolo sorprende una nuova citazione dal Discorso del metodo; essa
campeggia in, pagina bianca: «La enredadera no llega más arriba que los
árboles que la sostienen»
357
. È la morale di tutta la storia, denuncia dell'inevitabile
fine delle dittature. Ma ancora una citazione da Descartes richiama
l'attenzione del lettore, all'inizio del breve epilogo posto sotto
l'anno 1972: «... arretez vous encore un peu á
considerer ce chaos...»
358.
La citazione è, inaspettatamente, in lingua originale, forse
per far più vivo il richiamo, e per concludere meglio il
«memento homo, quia pulvis es et in pulverem
reverteris»
359.
È l'avvertimento che Carpentier rivolge a coloro che,
impadronitisi del potere con la violenza, pensano di conservarlo
per l'eternità. La stessa natura dell'uomo burla le loro
pretese; la morte interviene col suo significato di consumazione. E
tuttavia, la data che presiede l'epilogo, 1972, indica
come l'errore sia ricorrente.
A distanza di
quindici anni dal suo primo romanzo, Hijo de hombre (1959), che diede a Augusto
Roa Bastos solida fama internazionale, lo scrittore paraguaiano
pubblica, nel 1974, Yo el Supremo, un grosso volume di 467 pagine,
dedicato alla figura del Dottor Francia e alla «Dittatura
Perpetua», instaurata nel Paraguay agli inizi dell'Ottocento.
Il personaggio era già presente in Hijo de hombre, nell'evocazione
inquietante dell'ex-schiavo Macario360,
come «pajarraco»
enigmatico,
che imponeva la sua ombra, con un che di magico e di sacro, su
tutto il paese, in un alone di violenza e di arbitraria giustizia,
che finiva per diventare mania ossessiva, al servizio di una
visione distorta delle cose e della realtà.
A distanza di anni la ricomparsa del Dottor Francia quale protagonista di tutto un romanzo riconferma la profonda attrazione esercitata dal personaggio sullo scrittore, non in quanto motivo esterno, ma come problema vitale del mondo paraguaiano, languente ancor oggi sotto regime dittatoriale.
Per quanto attiene
all'arte, gli anni che intercorrono tra Hijo de hombre e Yo el Supremo rappresentano il
processo verso una maturità ora pienamente raggiunta. Se il
primo romanzo era considerato uno dei testi più
ragguardevoli della «nueva novela»
, in
Yo el Supremo
si esaltano le facoltà d'invenzione e di stile dello
scrittore, in un libro di rilievo sicuro nella narrativa
ispano-americana contemporanea. La sua struttura si presenta
totalmente nuova. Il romanzo si apre con un «pasquín»
, che
imita la scrittura e la firma del dittatore, oltre all'aspetto
formale dei decreti del Supremo. Affisso clandestinamente alla
porta della cattedrale, il foglio dà disposizioni per la
morte del tiranno e dei suoi collaboratori: che egli sia decapitato
e la sua testa sia posta su una picca «por tres días, en
la Plaza de la República, donde se convocará al
pueblo al son de las campanas a
vuelo»
361;
che tutti i suoi servitori, «civiles y militares»
,
siano impiccati, e i cadaveri «enterrados en potreros
de extramuros sin cruz ni marca que memore sus
nombres»
362;
che, infine, al termine «de
dicho plazo»
, i resti del dittatore
«sean quemados y las
cenizas arrojadas al
río»
363
.
Fin dalla prima
pagina il clima politico è ben definito. La ricerca
dell'autore, o degli autori, del «pasquín»
è il motivo che riaffiora, tratto tratto, nel romanzo,
contribuendo a dargli unità, ma sempre più
soverchiato dall'urgenza dei temi prospettati dal dittatore,
intento, sembrerebbe, a tracciare la storia «fidedigna»
del proprio regno, nell'ultimo mese della sua vita, quando ormai le
forze Io vanno abbandonando.
Il libro si
presenta costruito in modo composito: il «pasquín»
,
dettato e riflessione, dialogo e monologo del dittatore, interventi
del «fiel de
fechos»
Patino, accusato di «fide-indigno»
364
o di «medio
miliunanochero»
365
, comparse continue del «Cuaderno privado»
del
dittatore, e una «Circular Perpetua»
,
che egli dirige ai suoi fedeli, allorché si sparge la falsa
notizia della sua morte, per rinfrancarli, rendendoli coscienti
della parte che El
Supremo ha avuto nella storia dell'indipendenza del paese,
quindi nella storia «tout
court»
del Paraguay. Detta circolare
serpeggia per tutto il romanzo, emergendo in dieci riprese. Il
«Cuaderno
privado»
del dittatore compare nel romanzo
in quindici occasioni; una sola volta fa la sua comparsa il
«Cuaderno de
bitácora»
. Interviene inoltre un
«Auto
Supremo»
del tiranno, due volte «La voz
tutorial»
, una «Convocatoria del
Supremo»
. Il tutto in una successione tesa
di brani, nei quali la voce dettante e le voci degli attori delle
scene evocate si susseguono in frasi compiute, ma non distinte
graficamente nel testo. Inoltre il libro reca un singolare corredo
di note a pie di pagina, taluna chiarimento del «Compilador»
-come si
professa l'autore-, talaltra citazione di brani tratti da
epistolari e da testi di testimoni della dittatura. Non di rado il
«Compilador»
finisce
per insinuarsi col suo commento-nota fin nel testo, per chiarire e
rettificare affermazioni del Supremo, o per documentare meglio i
fatti con apporti testimoniali. Tali interventi, in alcune
occasioni, si prolungano per più pagine, interpolati nel
testo, divenendo un tutto unico con esso, nonostante la diversa
caratterizzazione tipografica e su due colonne; talaltra ancora la
nota ne richiama un'altra, che vi si inserisce in stretta
concatenazione. E ancora, sono da ricordare gli interventi di
anonimi postillatori sul «Cuaderno Privado»
del
Supremo, i quali vi iscrivono clandestinamente -«Letra
desconocida»
, denuncia l'autore nel testo-
propri commenti, negativi o ironici, che suscitano le ire del
dittatore.
Il romanzo si
allontana, quindi, vistosamente dalla struttura tradizionale e
presenta interessanti novità. Esso si configura come un
libro di documentazione, abilmente costruito sulle fonti impiegate,
vere o false che siano. Anche l'«Appendice», che
propone pareri contrastanti di storici diversi intorno
all'autenticità dei resti del tiranno, è parte
integrante del romanzo e contribuisce a ribadire l'atmosfera cupa
di denuncia contro la dittatura. La chiave del libro sta nella
«Nota final del
Compilador»
, ma è una chiave
«despistante»
, in
quanto Roa Bastos «remata»
, in
realtà, la finzione, affermando che, «al revés de los
textos usuales»
, questo è stato
«leído primero y
escrito después»
366.
In una nota alla pagina 3 egli aveva alluso alla propria
attività di raccoglitore di documentazione, scritta e orale,
e più di una volta si era firmato nelle note come «Compilador»
. A questo
punto Roa Bastos si dichiara apertamente «sonsacador»
di
un'iperbolica serie di fonti scritte -«unos veinte mil legajos,
éditos e inéditos; de otros tantos volumenes,
folletos, periódicos, correspondencias y toda suerte de
testimonios ocultados, consultados, espiados, en bibliotecas y
archivos privados y oficiales»
367-
e di fonti della tradizione orale, oltre «quince mil
horas»
di interviste registrate al
magnetofono, «agravadas de
imprecisiones y confusiones, a supuestos descendientes de supuestos
funcionarios; a supuestos parientes y contraparientes de El
Supremo, que se jactó siempre de no tener ninguno; a
epígonos, panegiristas y detractores no menos supuestos y
nebulosos»
368.
Di conseguenza, egli afferma che, invece di fare e di scrivere
«cosa
nueva»
, altro non ha fatto che «copiar fielmente lo va
dicho y compuesto por otros»
369
. Con questo espediente Roa Bastos, continuamente e ben presente
nella sua opera, ottiene l'effetto di esaltare il clima di
realtà-irrealtà in cui tutta la narrazione si muove,
dichiarando, come «a-copiador»
, che la
storia raccolta in questi «Apuntes»
si riduce al
fatto «que la historia
que en ella debió ser narrada no ha sido narrada. En
consecuencia, los personajes y hechos que fìguran en ellos
han ganado, por fatalidad del lenguaje escrito, el derecho a una
existencia ficticia y autónoma al servicio del no menos
ficticio y autónomo
lector»
370
.
In Yo el Supremo la dimensione
«implicante»
invece ben
definita. Il dittatore, in un teso avvicendarsi di dettato, di
dialogo e di monologo, mira a costruire il monumento alla propria
persona, rifiuta e accetta testi su di sé e sulla propria
opera, anticipa il futuro intorno alla propria fine e alla sorte
dei propri resti mortali, è dominato da una preoccupazione
di permanenza che si rivela anche nella cura dello stile, nelle
note che appone al testo per ulteriori sviluppi dello stesso. Il
segretario «novelero»
viene
assoggettato totalmente, svuotato della sua autonomia di essere
pensante; gli dice El
Supremo:
«[...] guiaré tu mano como si escribiera yo. Cierra los ojos. Tienes en la mano la pluma. Cierra tu mente a todo pensamiento [...]. La presión funde nuestras manos. Una sola son en este instante. Apretemos con fuerza. Vaivén [...]»371 . |
Tutto ciò
in contraddizione evidente con la più volte asserita natura
strettamente privata degli «Appunti». In realtà,
chiarisce il «Compilatore» con intenzione maligna nei
confronti del personaggio, in una nota alla pagina 75, che si
arrampica su per il testo fino a introdursi in esso, prendendo da
una lettera del Dottor V. Días de Ventura a fray Mariano
Bel-Asco, il dittatore «tiene un almacén de cuadernos con
cláusulas y conceptos que ha sacado de los buenos
libros»
; da essi prende frasi che colloca
qua e là, «vengan o no a cuento»
,
e «Todo su estudio se cifra
en el buen estilo»
. Si scopre così
la falsità del proposito dichiarato dal Supremo. Il quale
non si accontenta di dettare, ma interviene addirittura come
scrittore materiale degli «Appunti», soprattutto verso
la fine della sua vita, in un esercizio che è per lui una
forma di sentirsi scrittore:
«Al principio no escribía; únicamente dictaba. Después olvidaba lo que había dictado. Ahora debo dictar/escribir; anotarlo en alguna parte. Es el único modo que tengo de comprobar que existo aún. Aunque estar enterrado en las letras ¿no es acaso la más completa manera de morir? ¿No? ¿Sí? ¿Y entonces? No. Rotundamente no. Demacrada voluntad de la chochez. La vieja vida burbujea pensamientos de viejo. Se escribe cuando ya no se puede obrar. Escribir fementiras verdades. Renunciar al sacrificio del olvido. Cavar el pozo que uno mismo es [...]. De lo único que estoy seguro es que estos Apuntes no tienen destinatario [...]. Esto es un Balance de Cuentas. Tabla tendida sobre el borde del abismo [...]»372. |
Sembrerebbe
confermare l'intenzione «privata» dell'esercizio del
dittatore la decisione di bruciare i suoi scritti prima di morire.
Ciò avviene, infatti, ma dall'incendio si salvano, per la
«ficción»
, i
testi presentati dal Compilatore. Frequente è in essi, nella
trascrizione del narratore, l'avvertimento «quemado»
, «ilegible»
, «roto»
, «quemado el resto del
folio»
, «petrificado el plasto de
los diez folios siguientes»
373
. La fine dei documenti, termine del romanzo, conclude con parole
che non si intende esattamente chi abbia scritto, ma certo una mano
sconosciuta, e con pagine carbonizzate:
«[...] ¡Qué tal, Supremo Finado, si te dejamos así, condenado al hambre perpetua de comerte un güevo, por no haber sabido... (empastado, ilegible el resto, inhallables los restos, desparramadas las carcomidas letras del libro)»374 . |
Realtà e
irrealtà si fondono e si confondono efficacemente nel libro.
Lo stile del Supremo è sempre teso, fiorito nel gioco di
parole su cui continuamente insiste nella sua
dettatura-conversazione-scrittura-diatriba. Roa Bastos, abilissimo
Compilatore-Autore, dispiega qui tutto il vigore delle sue
facoltà di innovatore del linguaggio, di maestro
originalissimo dell'espressione. La finzione su cui ha costruito il
romanzo ha pieno successo anche per l'originalità e
l'efficacia espressiva. È interessante, inoltre, il gioco
attraverso il quale il narratore si fa coinvolgere nel libro dal
dittatore, in polemica continua contro gli scrittori, soprattutto
contro quelli emigrati -e Roa Bastos è uno di essi-, che
egli prevede scriveranno contro di lui «truhanerías»
,
alle quali, nell'impunità della distanza, oseranno «cínicamente»
apporre la loro
firma375
. Saranno «Profetas del
pasado»
, che nei loro libri racconteranno
«sus inventadas
patrañas, la historia de lo que no ha pasado,
[...]»
376.
Più
direttamente ancora lo scrittore implica se stesso quando, citando
in nota al testo dal Correa, che narra le proprie vicissitudini,
durante la sfortunata missione nel Paraguay come rappresentante
dell'impero brasiliano, si fa apostrofare «senhor Roa»
; benché chiarisca
subito, in nota, che «el
lapsus y la mención no le
corresponden»
, ma che l'«informe»
confidenziale
del Correa menziona testualmente il cognome, «según puede
consultar se en el tomo IV de Anais, p.
60»
377
. Ma chi può stabilire - almeno «a estas
alturas»
- l'attendibilità, non
solo, ma la reale esistenza delle fonti bibliografiche cui afferma
di rifarsi l'Autore?
Talvolta la nota, arrampicandosi su per il testo, finisce per spodestarlo per diverse pagine, costituendo un romanzo breve nel romanzo. Oppure, a pie di pagina, prolungandosi per più pagine, la nota attira prepotentemente il lettore, fino a fargli tralasciare il testo.
Il mondo
fantastico creato da tutti questi elementi, l'atmosfera
leggendaria, sono ancor più sottolineati dalla digressione
del «Compilador»
intorno
alla magica penna del Supremo, lunga narrazione che s'inserisce, su
due colonne, nel testo, tra le pagine 214 e 218. Roa Bastos
«Compilador»
racconta
come il prezioso cimelio sia finito -favola nella favola- nelle sue
mani, e illustra le straordinarie proprietà della «lente-recuerdo»
incastonata nel «pomo»
della penna,
utensile insolito con due diverse e coordinate funzioni: «Escribir al mismo tiempo
que visualizar las formas de otro lenguaje compuesto exclusivamente
con imágenes, por decirlo así, de
metáforas ópticas»
378.
Nell'opinione del «Compilador»
la penna
dovette esser dotata anche di una terza funzione: «reproducir el espacio
fonico de la escritura, el texto sonoro de las imagenes visuales;
lo que podria haber sido el tiempo hablado de esas
palabras sin forma, de esas formas sin
palabra»
379,
che permisero al Supremo di «conjugar los tres textos en una cuarta
dimensión intemporal girando en torno el eje de un punto
indiferenciado entre el origen y la abolición de la
escritura; esa delgada sombra entre el mariana y la muerte. Trazo
de tinta invisible que triunfa sin embargo sobre la palabra, sobre
el tiempo, sobre la misma
muerte»
380.
Il clima di magia
si intensifica in questa pluralità di dimensioni della
scrittura. Che il Supremo intenda,, trarre da essa un significato
«diverso»
da quello
corrente è manifesto nell'elucubrazione con cui distingue la
propria opera da quella dello scrittore di romanzi; da lui detti
spregiativamente «novelones»
381.
Ciò che egli vuole è che nelle parole che Patino
scrive vi sia qualcosa che gli appartiene, avvertendo che
«[...] Quien pretende relatar su vida se pierde en lo inmediato. Únicamente se puede hablar de otro. El Yo sólo se manifiesta a través de Él. Yo no me hablo de mí. Me escucho a través de Él [...]»382 |
È in questo
senso che il «fiel de
fechos»
diviene strumento passivo del
dittatore nella stesura dello scritto. Il disorientamento di Patino
procede dall'impossibilità di intendere e di scrivere
ciò che gli viene dettato, ma che l'apposizione della firma
da parte del Supremo ha il potere di rendere chiaro:
«[...] Ora que si leo el escrito una vez firmado por su Excelencia, echada la arenilla a la tinta, me resulta siempre más claro que la misma claridad»383. |
La dimensione
irreale si coniuga, qui, con la nota critica e satirica, che
sottolinea nel grottesco la natura quasi divina del dittatore. Il
Supremo sembra agire con chiara coscienza dell'unicità del
suo dettato e del significato della dimensione magica che intende
dare alla propria persona e alla propria opera. Nella prospettiva
del tempo, a duecento anni di distanza, egli pensa a lettori che
non sapranno più se si tratta «de fábulas, de
historias verdaderas, de fingidas
verdades»
384.
Solo allora sarà raggiunta Pintramontabilità:
«Igual cosa nos
pasará a nosotros, que pasaremos a ser seres
irreales-reales. Entonces ya no pasaremos
[...]»
385.