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Un poeta illuminista

Rinaldo Froldi



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La formazione poetica di Meléndez Valdés


L'istruzione ricevuta da Meléndez Valdés giovinetto è quella tradizionale delle scuole del tempo: dopo quella elementare nella nativa Ribera del Fresno e poi a Almendralejo1, egli seguí a Madrid per tre anni Filosofia nel Collegio domenicano di San Tommaso (1767-1770) e quindi, presso i Reales Estudios de San Isidro, un anno di Lingua greca e un altro di Filosofia morale (1770-1772)2.

Sappiamo, per testimonianza di Quintana3, ch'egli, già negli anni di studio madrilegni, s'era esercitato nella composizione poetica e, in piena conformità con l'ambiente in cui cresceva, aveva scritto «versos a santo Tomás de Aquino» e romances sotto l'influsso di Gerardo Lobo. Furono tuttavia i successivi anni di studi universitari a Salamanca (1772-1782) quelli della vera e propria formazione culturale del poeta. Iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza, accompagnò sempre lo studio del diritto con quello delle lettere e della filosofia tanta da ottenere, nel corso stesso degli studi, degli incarichi di supplente alle cattedre di lingua greca e di umanità (latino) e addirittura, alla fine dei corsi di diritto, non una cattedra di Legge al cui concorso aveva partecipato, ma la prima cattedra di Umanità (1781).

Non rifaremo qui la storia degli anni salmantini di   —6→   Meléndez Valdés, già da altri ottimamente tracciata4, ma cercheremo di porre in rilievo gli aspetti e i motivi che meglio ci possano aiutare a comprendere come, nell'ambiente di Salamanca, si svolse la sua formazione culturale.

Negli anni in cui studiò Meléndez Valdés, s'era dato avvio, per opera dei ministri di Carlo III, a una serie di riforme tendenti a modernizzare l'insegnamento, ripristinare nelle loro antiche funzioni i Colegios mayores e secolarizzare in genere l'istruzione, conducendola verso precise forme di controllo che la legassero alla monarchia e allo stato centralizzato5. Era la tipica azione di un governo che aderiva all'ideale del dispotismo illuminato e che, se da un lato politicizzava la sua azione culturale, dall'altro riusciva a realizzare delle concrete riforme, favorendo anche libere iniziative, impossibili nelle vecchie strutture universitarie spagnole. Furono appunto le iniziative del governo di Carlo III che mossero un poco le stanche acque della vita accademica salmantina: dapprima s'ebbero notevoli difficoltà tanto che Salamanca nel contesto degli atenei spagnoli si presentò come il piú retrivo e reazionario6, e poi si svilupparono in piú campi diverse iniziative tanto da trasformare, alla fine del secolo, Salamanca nel centro forse piú attivo del riformismo culturale spagnolo, come avremo occasione di osservare ancora nel corso del nostro studio.

Nel campo letterario Salamanca aveva conservato la tradizione di una certa serietà negli studi classici e, ne gli anni in cui compiva i suoi corsi Meléndez Valdés,   —7→   avevano la cattedra due ottimi docenti quali il grecista Zamora e il latinista Alba. Questo gusto per il classicismo si rifletteva anche nella poesia e nella prosa in volgare che cercavano di combattere il gusto barocco e fissavano i propri modelli non soltanto negli antichi autori greci e latini ma anche negli spagnoli del Cinquecento, anteriori cioè a quel gusto che ormai si sentiva di dover combattere in nome di una semplicità piú aderente alla natura e alla ragione. In tal modo l'ambiente culturale migliore di Salamanca era vicino a quei movimenti che caratterizzano verso la metà del secolo un generale rinnovamento della cultura spagnola. Si pensi al tentativo di Luzán di dotare la propria nazione di una Poetica di chiaro carattere classicistico, si pensi anche all'Academia del Buen Gusto sorta nel 1749 e che, nelle forme di un salotto francese diretto dalla Contessa di Lemos7, cerca, ad opera soprattutto di Velázquez, Nasarre e Montiano, di rinnovare le lettere spagnole, assumendo un polemico atteggiamento nei riguardi della tradizione. Si pensi infine al gruppo di pensatori e scrittori che si riuniva a Madrid nella Fonda de San Sebastián, aperti alle esperienze italiane e francesi e desiderosi di un generale rinnovamento8.

A Salamanca l'autore che, negli anni in cui vi giunge Meléndez Valdés, meglio impersona il gusto classicistico tendente verso un nuovo modulo poetico, è fray Diego González. Jovellanos9 lo lodò come resuscitatore   —8→   delle «hispanas musas» riconoscendogli la primazia nel tentativo di opposizione alla poesia barocca10. Nato nel 1733 e vissuto dal 1760 al 1779 a Salamanca, questo frate agostiniano vide in fray Luis de León il suo modello e prese a imitarlo, in armonia con il consiglio che Mayáns y Siscar aveva dato per migliorare la poesia spagnola nella sua Rhetórica del 175711. Imitò la lira, ma soprattutto affinò, a contatto dei modelli del grande poeta del Cinquecento, il suo gusto ricercando la proprietà, l'eleganza semplice, l'armonia specie in odi come A Liseno e in alcune traduzioni di testi biblici. Cosí s'iniziava una tradizione che si doveva continuar e in Meléndez Valdés e altri piú giovani poeti come testimonia Ceán Bermúdez12.

Ma se l'incontro di Meléndez Valdés con Diego González al quale restò a lungo amico e dedicò alcune liriche13, fu certamente importante per il giovane studente estremegno, importanza anche maggiore ebbe l'incontro con Cadalso che giunse a Salamanca nel maggio del 177314 e vi portò il soffio nuovo della sua formazione europea e il suo acuto spirito critico, capace di afferrare e demolire quanto di vano e rancido sopravviveva nella «dotta» città universitaria. Soprattutto egli fu caustico nei riguardi di quel vacuo aristotelismo che faceva trascurare lo studio delle scienze a quei paludamentati rappresentanti della cultura tradizionale che   —9→   sapevano «poner setenta y siete silogismos seguidos sobre si los cielos son fluidos o sólidos»15. E se la mente vivace di Meléndez Valdés s'era forse già aperta al desiderio di una cultura meno chiusa e con formistica rispetto a quella della sua prima formazione, non v'è dubbio che fu Cadalso a rivelargli un orizzonte culturale nuovo, stimolandolo a una serie di vaste letture che lo posero in contatto con il pensiero europeo del tempo, nel campo filosofico, giuridico, politico e letterario.

Questo influsso di Cadalso fu del resto riconosciuto dallo stesso Meléndez Valdés che cosí, nel 1782, evocava l'amico che gli era stato maestro: «Sin él yo no sería nada... Él me cogió en el segundo año de mis estudios, me abrió los ojos, me enseñó, me inspiró este noble entusiasmo de la amistad y de lo bueno, me formó el juicio, hizo conmigo todos los oficios que un buen padre con su hijo más querido... Mi gusto, mi afición a los buenos libros, mi talento poético, mi tal cual literatura, todo es suyo»16.

Nel 1773 Cadalso, che aveva già pubblicato la sua tragedia Sancho García (1771) e l'elegante satira de Los eruditos a la violeta (1772), dà alle stampe le sue poesie Ocios de mi juventud. Esse rivelavano non soltanto il gusto per una educata imitazione degli autori classici, aderente a un non astratto concetto di razionalità e rispettoso di un sano culto della natura, valori cui profondamente credeva Cadalso e si traducevano in una controllata esigenza di stile17, ma apportavano elementi del tutto nuovi appresi dal moderno pensiero europeo,   —10→   quali la sottile sensibilità che scruta l'intimità personale o accoglie la spontaneità della natura, cercando un'armonia essenzialmente morale. In tal modo il gusto dell'antico che si configura nell'imitazione di Orazio, nell'anacreontismo, nella ricerca di forme metriche classiche quali l'ode saffica e la pindarica o addirittura nella composizione in lingua latina, acquista dei significati del tutto nuovi: il gusto oraziano è per lo piú spunto o binario formale per introdurre temi personali, l'anacreontismo è ricerca di una consonanza con il vivere secondo natura che la filosofia contemporanea europea andava scoprendo, la ricerca delle forme metriche classiche è desiderio di rottura con le forme tradizionali indigene e lo scrivere in latino non va al di là di uno squisito e un po' scherzoso gioco intellettuale fra amici, chiaramente lontano da ogni pedantesco culto umanistico.

Se gli spunti che condussero Cadalso al nuovo orientamento poetico, soprattutto sul piano formale, si possono trovare prima di lui in altri poeti e principalmente in Nicolás Fernández de Moratín18, a lui possiamo senz'altro attribuire la novità di un deciso accoglimento della tematica ideologica dell'Illuminismo19.

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Del resto negli stessi rapporti con il giovane studente di diritto Meléndez Valdés, da lui incontrato a Salamanca e ben presto divenuto insieme discepolo e amico20, si scopre la posizione ideologica di Cadalso. Sappiamo ch'egli mise nella mani di Meléndez testi come il Droit des gens di Vattel e l'Esprit des lois di Montesquieu21, ma certamente numerosi altri testi vennero consigliati mentre gli argomenti dibattuti nelle amichevoli discussioni erano senza dubbio le «novità» della cultura straniera alla quale Cadalso s'era formato nei suoi viaggi e che il giovane Meléndez doveva apprendere con meravigliata commozione se pochi anni più tardi, appena   —12→   morto Cadalso, scrivendo all'amico Cáseda a nome proprio e di Arcadio (José Iglesias de la Casa), cosí ne ricordava l'immagine di maestro e iniziatore: «A él deben (Batilo y Arcadio) que, libres de las nieblas de la ignorancia, busquen la Sabiduría en su Santuario Augusto y no se contenten con su mentida sombra; a él deben el ver con los ojos de la filosofía y la contemplación las maravillas de la Naturaleza... él nos enseñó a buscar en el hombre al hombre mismo»22.

D'altra parte nel giovane allievo e amico, Cadalso, scoprí quelle doti d'intelligenza, d'amore alla ricerca e di ricca e profonda umanità che costituivano gli elementi di una vera e propria affinità spirituale. Estremamente significativo a questo riguardo è il ritratto che di Meléndez fa Cadalso in una lettera a Tomás de Iriarte23, di tono scherzoso e scoperta intonazione anticonformistica: «Mozo algo inclinado a los placeres mundanales, a las hembras, al vino, al campo, y sobre todo afecto con demasía a estas cosas modernas, acompañado de muy buena presencia, veinte años no cumplidos y poco respeto a los prelados». Dopo aver offerto un esempio della musa anacreontica del giovane poeta, aggiunge: «Del mismo tenor son las otras que componen un corto quaderno con título de Batilo, nombre escandaloso y piarum aurium ofensivo... Al tal letorcillo joven y díscolo he procurado apartar de la errada senda de la poesía: le he dicho muchas veces quanta lástima me causa su pecaminosa inclinación y quan provechoso le sería su talento, si lo dedicara a otras cosas más solidas como a comentar a Aristóteles o a componer algunas novenas devotas a S. Ursula y sus 11.000 compañeras de martirio y virginidad. Pero lo arrastra su inata malvada   —13→   tendencia al infierno con todas las señales de proscrito, pues se inclina con predeterminación phísica al dicho pasatiempo y a estudios serios de peor naturaleza quales son el Espíritu de las Leyes de Montesquieu, el derecho de gentes de Vatel y otros de gran perjuicio espiritual en conocido detrimento de su alma. Aun le he oído hablar con respeto de Newton y otros mathemáticos y phísicos buenos».

Nel tono garbatamente scherzoso e affettuoso di questa presentazione in cui Cadalso sembra ammiccare con furbesca intesa all'amico, compiacendosi per la significativa scoperta di un giovane intelligente che viene ad aggiungersi alla esigua ma forte schiera dei novatori antitradizionalisti e un po' spregiudicatamente libertini, ben si riflette il tono della vita del tempo in cui la libertà di pensiero era una conquista difficile e necessariamente accompagnata da prudenti compromessi con il conformismo imperante. Certo, presso le menti piú deste, dominava la necessità di una «rottura», di qual cosa cioè che nel pensiero, nell'azione, nelle parole apris se una breccia nella routine e schiudesse vie nuove.

Cadalso fu suscitatore di queste energie rinnovatrici e conquistò facilmente la stima e la simpatia degli uomini piú aperti della Salamanca del tempo: la loro solida formazione umanistica trovava cosí possibilità di sviluppi fruttuosi nel contatto con le esperienze filosofiche della moderna cultura europea. Ma è evidente che, nel circolo che si stringeva attorno a Cadalso, nasceva anche una eticità nuova. Erroneo è stato pertanto il limite entro cui la critica ha ingenere chiuso il concetto di «scuola» salmantina, facendone un gruppo d'interessi esclusivamente retorico-poetici24. Si può ragionevolmente   —14→   invece parlare di un vero e proprio gruppo culturale salmantino «illuministico» di cui Cadalso fu l'antesignano e che poi si sviluppò attivamente anche in campo scientifico, giuridico e politico, oltre che letterario (come ben ha messo in rilievo il Beneyto Pérez in un suo intelligente discorso25 che non ci sembra sia stato debitamente preso in considerazione dalla storiografia spagnola), sí da trasformare quella che era attorno al 1770 una Università conservatrice e tradizionalista per eccellenza, verso la fine del secolo in uno dei centri piú vivamente progressisti e riformatori della Spagna.

Il ridurre come s'è fatto la «scuola» di Salamanca a mero fatto retorico-letterario è concetto erroneo che rientra in quell'altro piú generale consistente nella pianificazione, sotto l'etichetta del «neoclassicismo», di tutta la produzione letteraria spagnola dei secondi due terzi del Settecento, ponendo Luzán e la sua Poética come principium e exemplum dell'intero movimento26.

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Il caso di Luzán è singolare: educato in Italia nel clima della fiorente Arcadia che nelle forme classicheggianti e nelle regole aveva trovato la propria norma, giu stificandole attraverso il concetto d'imitazione di una natura idealizzata, realizza per la Spagna con la sua Poética un vero e proprio compromesso fra l'aristotelismo tradizionale e le istanze nuove derivate in gran parte dalla filosofia cartesiana27, proprio come in Italia aveva fatto, in parte almeno, il Muratori28 e per la Francia,   —16→   non senza però significativi apporti d'altre fonti, aveva fatto soprattutto lo svizzero Crousaz29 e avrebbe fatto di lí a pochi anni il Padre André30.

La «natura» di cui egli parla e che il poeta dovrebbe «imitare» è sostanzialmente quella aristotelica31 e il gusto o «buon gusto» che sta alla base dell'operare poetico è atto intellettivo, con una specifica intenzionalità   —17→   etica32 che deriva dagli scolastici principi di vero, buono e bello33. Il gusto si traduce cioè in giudizio che stabilisce classifiche, ordina categorie, fissa prescrizioni tecniche e trova poi piacere nell'apprendimento delle stesse: è -in altri termini- attività riflessiva che finisce col tener legata la poesia al concetto barocco di riflessione ingegnosa anche se l'artificio si mitiga in un meraviglioso controllato dal verisimile34. Il diletto, de rivando in sostanza dall'apprendimento dell'artificio, resta un diletto intellettualistico; persino là dove Luzán sembra aprirsi a esperienze nuove perché prende in considerazione fra i principios del deleite poético, la «dulzura» come quella qualità che contribuisce a far vibrare gli affetti dell'animo (e sembrerebbe in tal modo avvicinarsi a certi orientamenti soggettivistici e psicologici dell'estetica in novatrice del Settecento, per e sempio al Dubos la cui opera è del 171935, ma che egli non cita neppure una volta) e parla di «pasiones,   —18→   afectos y sympathia natural... que causan la Dulzura y son comunes a todos»36, egli non dice nulla di veramente nuovo perché subito dopo spiega questa dulzura come effetto di un determinato procedimento retorico al quale contribuiscono le figure poetiche37, come l'esclamazione, l'iperbato, l'apostrofe ecc... E se riconosce importanza all'ingenio e alla phantasía, queste facoltà sono pur sempre subordinate all'intelletto38.

La Poética di Luzán è dunque un testo fondamentalmente aristotelico che cerca di trasferire in Ispagna un ideale paradigmatico di poesia classicheggiante e razionalistica, quale s'era avuto in Francia e in Italia fra la fine del '600 e l'inizio del '700: è dunque principalmente una reazione al barocco, importante piú che altro per avere fornito argomenti al nuovo orientamento di pensiero che lo stesso Luzán e altri andavano instaurando: soprattutto Mayáns y Siscar e il P. Isla nella retorica, l'Academia nel campo grammaticale e lessicale e il P. Feijóo nel campo della dialettica e della scienza.

Luzán è tutto legato al culto degli antichi: «En la ejecución y en el uso de los preceptos poéticos, nos llevan los antiguos gran ventaja»39 e il suo è sostanzialmente un tentativo di ricondurre la poesia spagnola alla tradizione cinquecentesca e rinascimentale, allargandone gli orizzonti a modelli classicheggianti stranieri. E in effetti Luzán influí su quei poeti che s'impegnarono verso la metà del secolo a risollevare il «buon gusto» e a coltivare una poesia di stampo classico e un po' accademico. Già abbiamo citato i nomi di Nicolás Fernández de Moratín e di Diego González. Ma potremo ricordare lo stesso Luzán40 oltre a Nasarre, Juan de   —19→   Iriarte, Velázquez e Montiano41 e in genere i poeti che si riunivano nella cosiddetta Academia del Buen Gusto (1749-1751)42.

Del pari sono da tener presenti i poeti che avevano scelto come loro luogo d'incontro la Fonda de S. Sebastián dove, a detta di Leandro Fernández de Moratín43, numerose erano le letture di testi stranieri classicheggianti come le tragedie francesi, le satire e la Poetica di Boileau, le odi di J. B. Rousseau e, fra gli italiani moderni, le poesie del Frugoni, del Filicaia e del Chiabrera.

In questo clima polemico nei riguardi della tradizione barocca indigena, si spiegano facilmente anche gli eccessi di taluni che esasperarono le loro posizioni critiche verso la letteratura spagnola del '600 (ad esempio il violento antigongorismo e la polemica sul teatro del Siglo de Oro) e magari -dotati di una intelligenza critica inferiore a quella di Luzán- si fecero aspri censori della tradizione sulle orme di una accettazione incondizionata di un Boileau interpretato estremisticamente o in genere di un precettiamo rigoristico che li condusse anche a vistosi errori critici come quelli divenuti famosi del Nasarre nei riguardi del teatro di Cervantes e del Montiano che preferiva la seconda parte del Quijote dell'Avellaneda a quella originale.

Comunque risultato indubbio di questo movimento culturale verso la metà del secolo fu la promozione di un ritorno ai modelli cinquecenteschi. Persino l'uso invalso nei poeti del tempo d'assumersi un soprannome arcadico (uso particolarmente diffuso fra i poeti salmantini) echeggia un costume cinquecentesco (finzione bucolica del romanzo pastorale o della lirica garcilasista) non la convenzione accademica del doppio nome invalsa nell'Accademia roman a dell'Arcadia che pure era ben   —20→   conosciuta in Spagna ed ebbe innumerevoli ammiratori44.

A Salamanca l'uso dell'appellativo arcadico è senz'altro testimonianza di un gusto e di un clima letterario che si voleva rinnovare (e al culto delle forme cinquecentesche che si desiderava far rivivere s'univa quello della poesia ispirata dalla Natura), anche se l'ulteriore svolgimento della locale tradizione poetica doveva verificarsi, soprattutto ad opera di Meléndez Valdés, in forme decisamente lontane dall'iniziale entusiasmo verso la riviviscenza classica.

Da Cadalso in avanti ciò che di piú originale e significativo affiora nella nuova arcadia spagnola è un gusto immediato e soggettivo verso la natura per mezzo di una acuita sensibilità e ricerca psicologica.

Ma è evidente che quando ciò si verifica ci si è già allontanati dalla poetica luzaniana e in genere dal razionalismo d'eredità aristotelica o cartesiana.

In questa direzione colui che mostra d'avere appreso appieno la lezione iniziata da Cadalso45 e la sa svolgere passando attraverso molteplici esperienze culturali formatrici è Meléndez Valdés. La passione per i problemi estetici accompagnò sempre il poeta che di frequente, nelle sue lettere, c'informa delle letture che andava compiendo, e che compose anche un Discurso filosófico sobre la belleza y sus diferentes calidades46, opera che appartiene al gruppo di quelle perdute in conseguenza delle dure vicissitudini politiche del poeta.

Uno dei primi testi che, per testimonianza dello stesso Meléndez Valdés47, lo abituarono all'esercizio del   —21→   pensiero e gli aprirono orizzonti che gli sarebbero serviti per il resto della vita, fu l'Essay on Human Understanding di Locke. Quel testo significava per Meléndez Valdés un violento attacco alle idee tradizionalmente apprese sulla conoscenza e sulla posizione stessa dello uomo di fronte alla natura. Proprio perché le idee si fondano per Locke sulle sensazioni, l'uomo entra in un rapporto nuovo con la natura: il mondo esterno si fa attivo e l'uomo perde la propria posizione di preminenza. E siccome per Locke quanto piú le sensazioni sono commoventi, tanto piú sono valide, ne nasce come conseguenza un orientamento nuovo nel campo di quel particolare tipo di conoscenza che è l'estetica.

Conferma e sviluppo di queste idee Meléndez Valdés trovava negli stessi anni della sua formazione in un altro scrittore inglese da lui straordinariamente ammirato: Alexander Pope48. Nell'Essay on man Pope affermava il concetto di un uomo che rientra -con precisi limiti- in un preordinato ordine di Natura e combatteva la superbia dell'uomo che pretende elevarsi a fine supremo della creazione49. Pope riconosceva l'unità meravigliosa del tutto, governata dalla mente ordinatrice   —22→   di un Dio50 che rendeva giusto l'ordine del creato51. Compito dell'homo doveva essere non quello d'indagare Dio ma di studiare sé stesso:

The proper study of mankind is man.52



Solo nello studio di quest'essere,

born but to die, and reasoning but to err,53



si può attingere la virtú e quindi la felicità, conformandosi all'ordine provvidenziale:


...Whatever is, is right!
That reason, passion, answer one great aim;
That true self-love and social are the same;
That virtue only makes our bliss below;
And all our knowledge is: ourselves to know.54



Ma ben piú specifici insegnamenti sulla poesia Meléndez Valdés dovette apprendere in un'altra opera di Pope, l'Essay on Criticism55 dove la Natura era posta come principio e fine, testo dell'Arte56, una natura regolata   —23→   tuttavia, frenata opportunamente nella sua libertà57. Era il concetto di natura methodised che apriva la porta al soggettivismo: l'arte cercava nella natura, con libertà, il proprio oggetto.

Si tendeva a porre il bello di natura e quello d'arte sullo stesso piano e l'attenzione del filosofo desideroso di penetrare il problema dell'arte e della bellezza si concentrava sul soggetto che quel bello percepiva: in altri termini non piú interessava l'opera d'arte come realtà oggettiva fuori di noi, ma interessavano piuttosto i modi della produzione e della fruizione del bello.

Cosí l'Addison58 affermava, contro i principi del classicismo tradizionale, la derivazione delle norme artistiche dal gusto degli uomini e non dall'astrazione di regole aprioristiche e nello studio tutto empirico del bello, poneva sullo stesso piano il bello di natura e quello d'arte, e solo distingueva il piacere dell'immaginazione che contempla con immediatezza (piacere primario) da quello in cui interveniva anche il giudizio della riflessione, tipico nei casi della fruizione dell'opera d'arte (piacere secondario).

L'Hutcheson59, sullo stesso piano empiristico di ricerca, riconosceva la facoltà estetica sotto l'aspetto di un «senso interno», una specie di potenza passiva, con naturata agli uomini e strutturata come i sensi esterni,   —24→   capace di percepire appunto la bellezza, al di là dell'apporto immediato dei cinque sensi60.

A questa riflessione sul piacere come ambito entro cui si svolge la vita dell'opera d'arte, Meléndez Valdés fu avviato anche dalla lettura del Dubos che sappiamo averlo tanto interessato nell'inverno del 177961. Anche il Dubos credeva in un sesto senso, capace di percepire la bellezza: per lui esisteva una bellezza relativa, quella dell'opera d'arte, qualitativamente non diversa dalla bellezza assoluta della natura, capaci entrambe di suscitare emozioni. E il Fontenelle62 il cui saggio Réflexions sur la Poétique, anche se pubblicato piú tardi è forse anteriore a quello del Dubos63, aveva una simile idea quando rifletteva sull'emozione che suscita la tragedia fino al pianto, distinguendo l'afflizione che la circostanza reale apporterebbe, dal piacere che la circostanza finta sulla scena apporta. Tra emozione estetica e emozione psicologica non c'è che una differenza d'intensità. Ogni ulteriore ricerca svolta sul piano dell'empirismo doveva del resto sempre piú legarsi all'indagine psicologica.

Dall'insegnamento diretto di Cadalso derivò in Meléndez Valdés il desiderio di approfondimento di una problematica che tanto l'interessava e in sé e nei riguardi della sua attività di poeta: il risultato fu quello d'allontanarlo sempre di piú dall'aristotelismo della sua formazione giovanile e d'avviarlo verso una concezione dell'arte assai diversa da quella proposta da Luzán. Si potrebbe dire che in lui s'operava un netto distacco dal concetto tradizionale di «poetica» intesa come precettistica   —25→   verso il moderno concetto di «estetica». Se sopravviveva un certo rispetto verso la definizione e lo studio dei modi artistici, ciò avveniva mediante un'indagine a posteriori condotta sull'opera d'arte realizzata, nei suoi effetti sul soggetto percipiente; non era mai una dogmatica, canonica predeterminazione.

L'osservazione di sé si faceva predominante nel clima di un sensismo sempre piú accentuato fino all'affermazione-limite del materialismo di Diderot e soprattutto di d'Holbach e d'Helvetius64: in Meléndez Valdés trovava cosí accoglienza una estetica del «sensibile» con particolari svolte verso il «patetico» come piú avanti osserveremo.

Non pensiamo tuttavia si possa far risalire questa estetica del poeta estremegno a una unica o predominante esperienza formativa e nemmeno che si possa identificarla in una coerente posizione teorica. Del resto tutta l'estetica del Settecento vive di fondamentali contraddizioni e il compito dello storico è quello di coglierle piuttosto che artificialmente ricorrere a impossibili sintesi semplificatrici.

Cosí ad esempio sia l'empirismo inglese che quello francese, mentre compivano il grande sforzo di sottrarre ad astratte categorie teologico-metafisiche il mondo dell'arte e ne cercavano una nuova definizione mediante lo studio del rapporto uomo-realtà artistica, non si sottraevano a incertezze o dubbie soluzioni quando si presentava loro il problema dell'universalità o della oggettività dell'esperienza estetica. Ciò avveniva negli scrittori del principio del secolo come il Fontenelle, il Dubos, il Pope, l'Hutcheson il cui tentativo di spiegare la universalità del fatto estetico con l'idea di un gusto superiore,   —26→   prodotto dall'educazione e dall'esperienza65, finiva col perpetuare la tradizione risalente a Boileau di un gusto legato alle «honnêtes gens».

La soluzione radicale e coerente con le premesse non poteva che essere il totale scetticismo di Hume66 portante a una concezione relativistica del giudizio estetico, solo mitigata dalla constatazione che esiste un gusto comune non deducibile, né dimostrabile ma effettivo, prodotto dal sentimento che conferisce alla sfera estetica un ridotto ambito d'universalità.

Senonché il pensiero estetico del '700 a tale riduzione in genere non s'adatta e pretende piuttosto a una maggiore oggettività e universalità. Bene ha osservato il Cassirer che l'unica via possibile per dare maggiore fondamento al bello era quella di legarlo a una finalità e mostrare ch'esso non è altro che l'espressione velata di tale finalità67. Per Diderot in cui -sulle orme di Condillac68- la ricerca s'orienta sui problemi della sensibilità, il bello non è un puro istinto nativo ma un senso (goût) che s'è venuto perfezionando attraverso l'esperienza ma alla cui base è pur sempre il vero, se -com'egli fa- ravvisa la sua funzione in precise finalità pratiche, di carattere prevalentemente sociale69. Sono note le conseguenze di tale impostazione specie sul teatro che per influsso di Diderot in Francia si sviluppò sul piano di un'arte borghese moralizzante70.

  —27→  

Minore influsso nella formazione del pensiero estetico di Mèléndez Valdés ci sembra avere avuto il pensiero dello Shaftesbury, tanto importante per aver spostato verso l'intuizione il problema dell'origine del bello, ma forse, per Meléndez Valdés, troppo legato a posizioni metafisiche71; né del resto la speculazione del Burke o quella dei tedeschi72 e degli svizzeri ci risulta essere stata direttamente conosciuta dal poeta estremegno che restò pertanto prevalentemente ancorato al pensiero francese con le sue contraddizioni e le sue contrastanti aspirazioni73.

Per Meléndez Valdés idea fondamentale, accolta in modo da non imparentarlo assolutamente con il razionalismo astratto di Luzán, fu quella della sensibilità come animatrice della nostra partecipazione alla poesia. L'uomo è immerso nel mondo naturale e ne segue le leggi: la natura esterna è occasione e sorgente di sentimenti e il poeta, ricercandosi, non fa altro che approfondire quel rapporto che lo lega, come cellula, all'Universo. La migliore forma d'espressione artistica è quella che riesce a tradurre direttamente le emozioni e a comunicarle agli altri uomini. Il poeta adempie cosí alla sua condizione d'essere sociale e qui forse si rivela l'influsso che piú fortemente avvertí Meléndez Valdés,   —28→   cioè quello di J. J. Rousseau74, specie per l'importanza attribuita al sentimento, non inteso soltanto nel suo aspetto emozionale e edonistico ma inteso soprattutto come forza etica, condizione indispensabile di quella libertà dell'uomo che è la premessa per una riforma generale della società a cui anche l'arte, se scevra di preconcetti, di regole o pretese assolute (e naturalmente dei pericolosi condizionamenti della struttura sociale esistente) può vigorosamente contribuire, non collocandosi insomma fuori della vita ma dentro la vita, non ponendosi come lusso dello spirito ma come necessità interiore, essenzialmente morale75.

Non crediamo si possa affermare che Meléndez Valdés abbia fino in fondo compreso e cercato d'attuare il significato fortemente rivoluzionario delle istanze rousseauiane, ma Rousseau è autore ch'egli ha molto ammirato e dal cui pensiero ha tratto molti spunti e concerti come documenteremo nel corso della nostra indagine.

Qui ci premeva soprattutto segnalare il difficile cammino del pensiero estetico settecentesco quale fu per corso da Meléndez Valdés, attraverso alcuni fondamentali testi che siamo certi egli conobbe, per sradicare prima di tutto l'errato concetto di una dipendenza del pensiero estetico e del gusto di Meléndez Valdés e di tanta parte della poesia della seconda metà del Settecento dalla Poética di Luzán e, secondariamente, per segnalare quegli elementi o spunti di pensiero che contribuirono a sollecitare determinate ricerche poetiche che resero originale la posizione di Meléndez Valdés nello ambito della cultura spagnola e capace di suscitare in essa nuovi impulsi e aprire nuove strade: nella realtà della poesia piú che nella teoria confluirono appunto   —29→   nel poeta Meléndez Valdés le complesse innovatrici aspirazioni del suo pensiero.

Un aspetto caratteristico della prima produzione poetica di Meléndez Valdés, dominata dal culto per l'anacreontica, è l'assunzione di una tematica erotica d'intonazione apertamente anticonformistica e spregiudicata. In essa produzione si distingue chiaramente la raccolta di odi intitolata Los besos de amor76. Suggerite dai Basia di Johannes Secundus77 di cui cinque componimenti sono libere traduzioni78 e non senza qualche con tatto con le traduzioni di C. J. Dorat79, le leggere anacreontiche di Meléndez presentano tuttavia negli spunti tematici, nell'eleganza delle movenze e nella fluida musicalità, molteplici elementi d'originalità.

Elegante grazia possedevano pure i Basia di Johannes Secundus ma la stessa cadenza del metro elegiaco impiegato, la curata, ricca aggettivazione non senza sovrabbondanze un po' accademiche, conferivano a quel testo un movimento a volte lento. Meléndez Valdés è diverso: si serve dell'agile settenario e semplifica, là dove l'imita, il modello latino. Quanto gli appare frutto di un convenzionale gusto poetico esornativo e dispersivo rispetto all'intenzione di una rappresentazione acutamente sensibilizzata e direttamente comunicativa, è trascurato: ad esempio il VI Basium di 26 versi lunghi (13 distici elegiaci) viene reso con soli 24 settenari.

Ma accanto alle poesie che hanno un diretto modello nel cinquecentesco testo latino, vi sono quelle di libera invenzione melendeziana: la tematica è naturalmente tutta erotica: i baci sono invocati, descritti, distinti nella loro diversa, ora languida e provocativa, ora dolce   —30→   e sentimentale natura, ora si fingono strappati a forza, ora se ne celebra la segreta potenza che solleva lo spirito a condizione divina. Dalla rappresentazione del turbinio dei baci, tanto numerosi da non poter essere contati, la descrizione erotica si estende agli altri giochi d'amore, ora scherzosi, ora lascivi, o si sofferma in una sottile analisi psicologica che rende la contesa intima dei sensi: gli occhi a gara con le labbra per captare quanto piú piacere possibile dalla donna amata, le astuzie birichine delle finte fughe o dei finti ritegni che rendono piú dolce la conquista, la fiamma dell'amore sensuale che s'accende con maggior forza dopo la colpevole prolungata assenza della donna amata.

La capacità descrittiva del poeta è assai duttile: egli sa rendere con grazia maliziosa anche i contenuti piú arditi: il corto anelito e l'orgasmo amoroso di Nise, il sogno dell'amplesso notturno con Amarilda, la stanchezza che coglie gli amanti dopo la lotta gioiosa, le morbi de parole sussurrate nel momento del piacere. Insomma: un vero e proprio inno ai doni di Venere, un inno alla giovinezza della cui labilità si ha consapevolezza onde piú vivo si fa il desiderio di coglierne i frutti; un inno che si svolge in una spasimante invocazione del piacere anche se questo può trovarsi compagna la morte:


Y venga ¡ay me! la muerte,
que entre tanta delicia,
Filis, si llegar osa,
no es muerte, sino vida.80



Ci sembra che il vero significato di questa poesia erotica stia, al di là di valutazioni estetiche, sul piano della storia interna del poeta e su quello della storia della cultura spagnola in cui s'inserisce, nel suo carattere di poesia di «rottura». Leggendo Los besos de amor ci si ricorda della descrizione che Cadalso fece del giovane Meléndez e che noi abbiamo già riportato81,   —31→   ci si ricorda di quel «letor joven y vivo de nuestra orden»82, che altrove83 lo stesso Cadalso cosí presenta in latino a José iglesias: «Facilis est ingenio, juvenis ille, forma egregius, aetate florens, indole amabilissimus. Tot ergo et tantis causis formosarum puellarum amore nunc et diu fruatur». Un giovane dunque che, con Cadalso, si ribella alle tradizioni e al conformismo e seguendo il suo impulso giovanile trasforma la sua protesta in atteggiamenti spregiudicati secondo uno spirito che si potrebbe definire «libertino»84.

Los besos de amor non furono mai dati alle stampe dal poeta: la situazione politico-sociale della Spagna del tempo non lo permetteva. La minoranza stretta attorno a Cadalso doveva agire con prudenza: lo scambio delle idee avveniva fra amici ed era verbale o al massimo affidato   —32→   a qualche lettera85. Sappiamo che nel manoscritto, di proprietà prima di Salvá e poi di Foulché-Delbosc, contenente Los besos de amor figuravano anche opere di Tomás de Iriarte e di Leandro Fernández de Moratín86. Il Salvá giudicava, nella sua ottocentesca pruderie, che tali opere difficilmente avrebbero visto «la luz pública por ser demasiado obscenas». In effetti il Foulché-Delbosc pubblicò con Los besos de Amor, le altre poesie erotico-libertine di Meléndez solo sulla soglia del nostro secolo87.

A qualquiera Fulana88 è un componimento burlesco in cui il poeta fa in romance un divertente ritratto di sé; di tono burlesco è pure l'anacreontica A un quadro   —33→   de Venus89 dove il poeta, dopo aver celebrato la bellezza di un quadro che rappresenta Venere, conclude:


¿Pero qué es lo que digo?
¿Qué es lo que me arrebata?
Por una mujer viva,
Doy mil Venus pintadas.



La Carta de F... a Vecinta que havían puesto monja90 è l'invito a una giovane costretta dalla volontà del padre a farsi monaca, a rompere le catene in nome della fiel Naturaleza e di quell'amore che il poeta -rivolgendosi alla giovane donna- definisce:


la obligación más dulce, instituida
por aquel mismo Dios a quien adoras.



Egli rifiuta il concetto tragico di un Essere Supremo che vuol privare gli uomini dei piaceri naturali: Dio non può essere tiranno ma è padre e l'uomo giunge a lui attraverso l'esercizio della virtú, non per mezzo di inutili sacrifici:


Nada pueden con Dios los sacrificios,
la virtud sola a su morada guía.



Con La confesión de Flora si torna al tono burlesco, questa volta sul piano di una aperta satira anticlericale poiché si fa una vera e propria parodia della confessione e in nome di una celebrazione dell'amore naturalisticamente inteso, satireggiando i modi d'interrogazione dei preti e la loro frequente ipocrisia, si procede all'assoluzione della protagonista. Ecco com'è tratteggiato il frate ipocrita:


Quando un fraile a sus pies modestamente
ve que alguna bonita penitente,
—34→
los ojitos baxando,
los felices pecados va contando
en que se ha entretenido...
el padre reverendo,
la narración oyendo,
la escucha, un si es no es enternecido,
y su corazón triste y aterido
el ardiente deseo va encendiendo,
tanto que al cabo cometer quisiera
cuanto su casta boca vitupera.



Nella confessione che il poeta conduce, con tono malizioso e compiaciuta ricerca dello scabroso, la libertà dell'amore viene palesemente affermata ché l'assoluzio ne è sempre pronta per tal genere di peccati...


Ya al fin vamos llegando: seis pecados
tiene ya confesados:
pero falta el mejor... el escogido...
Mas si en él ha caído,
no solamente su razón abono,
sino que, por haberle cometido,
los demás, hija mía, la perdono.91



Ancora il tema della liceità dell'amore contro ogni costrizione moralistica è celebrato nell'ode El día siguiente92. Non è, come dicono i rigidi censori «deleite abominable»


este consolador de nuestros males,
este puro placer cuyo principio
puso un Dios favorable
en todos los humanos corazones.



  —35→  

La sua stessa dolcezza esclude possa essere un crimine:

-No es tan dulce el delito, Lisi mía



Su questa linea della difesa dei diritti del sentimento d'amore, della libertà interiore contro ogni costrizio ne esteriore, è anche un'altra composizione del poeta: la traduzione del Fragment d'une réponse d'Abailard a Héloïse di Colardeau93. Questo poeta francese aveva tradotto la lettera di Eloisa to Abelard del Pope e aveva iniziato la risposta di Abelardo. È appunto questo frammento di circa 100 versi che Meléndez Valdés dice d'avere tradotto94. Ma non si tratta di una semplice traduzione: innanzi tutto il testo di Meléndez Valdés è lungo piú del doppio dell'originale francese e poi ne differisce nello spirito. Immagina infatti Colardeau che Abelardo resti colpito dalla lettera di Eloisa, quando già la credeva sottomessa al dovere religioso e col cuore rassegnato al suo destino, già a sua volta piú tranquillo; ma ora la lettera d'Eloisa -dice Abelardo-

la flamme qui te brûle a ranimé mes feux.95



Ridotto ormai a una larva:

j'éxiste pour sentir que je n'existe plus.96



Credeva che Eloisa vivesse dimentica di un amante degno d'essere dimenticato: ora di colpo, risvegliata la passione, egli giunge quasi a rimproverarla:


Et pourquoi rappeler à mon âme sensible
d'un bonheur qui n'est plus le souvenir horrible97



  —36→  

egli non è piú che


...un spectre vain, n'est plus qu'une ombre errante
désormais insensible aux baisers d'un amante98



che

ne pourrait, dans tes bras, sentir que les tourmens!99



Questo tono di rinuncia ad un amore impossibile nel testo di Meléndez compare solo nell'ultima parte mentre invece nella prima Abelardo si mostra sempre pienamente innamorato di Eloisa e esalta questa forza d'amore di cui Eloisa non dovrebbe pentirsi poiché esso


      es un tributo
que el hombre débil paga al Ser divino.100



Abelardo si mostra consumato dalla passione


sólo ocupado en tu divina imagen
aun al pie del Altar con mil suspiros,101



si da divenire, nel suo tormento, ingiustamente intollerante con i giovani e in continuo disaccordo con la natura.

Si sofferma anche a contemplare nel sogno un pia cere che sa non può piú esistere, a rammentare il momento del lontano reciproco amore; ansia di spezzare le catene e correre verso l'amata e s'indugia a contemplare una piú felice vita futura. Ma ormai non c'è tempo per chi si sente fuori dalla vita, martire: onde l'invito a Eloisa a estinguere il ricordo di un infelice anche se poi a lei chiede per sé l'ultimo sospiro.

Si tratta di una liberissima traduzione, direi di una amplificazione del tema originale: solo qualche verso ricorda il testo di Colardeau. Le sfumature psicologiche   —37→   del protagonista sono in Meléndez piú diffuse e accentuate ma ciò forse a scapito del vigore e della coerenza del personaggio: a noi sembra piú intenso il meno effuso dolore di Abelardo in Colardeau.

Altre due traduzioni si trovano fra le poesie che Meléndez Valdés non pubblicò in vita e sono l'una la fábula de La locura y el Amor102 che deriva da L'Amour et la Folie di La Fontaine103 e l'altra El maullido de las gatas che viene da Le miaulement des chattes attribuito a La Fontaine104.

Si tratta di due racconti scherzosi, il primo su sfondo morale (sempre la follia accompagna l'amore), il secondo su sfondo burlesco-lascivo sull'origine del miagolio delle gatte in amore.

Ricorderemo infine, tra queste composizioni che Meléndez Valdés non diede alle stampe, A Susana105, un invito fra il serio e il faceto a una donnina di mondo a meditare sul destino che l'attende.

Di tutte le composizioni prese in esame, Los besos de amor costituiscono a nostro giudizio il testo piú esteticamente impegnato e che ha dato i migliori risultati sul piano poetico. Esso rientra nel gusto di quell'anacreontismo che domina la prima produzione melendedeziana e che il poeta mitigherà poi e porrà in secondo piano rispetto a impegni nuovi e piú gravi ma non abbandonerà mai del tutto. L'anacreontismo s'inserisce nel gusto classicheggiante già affermatosi nella Spagna della metà del secolo ed è in perfetta consonanza con il gusto europeo del tempo106. Proprio nel culto delle   —38→   forme semplici contro il concettismo del secolo precedente e nella preferenza delle composizioni limate e brevi contro l'ampollosa grandiosità dei poemi barocchi, Anacreonte si presentava come opportuno modello ideale. Aggiungasi l'irrompente gusto per la sensibilità e per una natura intesa non piú come termine d'opposizione alla realtà umana ma come l'unica realtà nella quale l'uomo stesso si riconosceva e si comprenderà facilmente come l'anacreontismo potesse trionfare nella Europa che, staccatasi dalle ideologie teologicizzanti del Seicento, s'era volta a un pensiero eminentemente empiristico. Ma si comprende altresí il significato particolare che l'assunzione di tale atteggiamento poetico ebbe in una Spagna che si trovava in notevole ritardo ideologico rispetto al resto dell'Europa e nella quale, per tutta la prima metà del Settecento, erano sopravvissuti schemi di pensiero scolastici e forme d'espressione baroccheggianti107.

Cosí se le traduzioni d'alcuni brani d'Anacreonte da parte di Luzán108 non vanno al di là di un mero esercizio stilistico, quasi lo sforzo di dare un exemplum di quello stile umile (i)sxno/n) che Luzán stesso teorizza nella sua Poética e del quale dice che fu perfetto autore Anacreonte109 e se le anacreontiche di Nicolás Fernández de Moratín sembrano solo in minima parte potersi cosí chiamare110, uno spirito nuovo si trova   —39→   però in Cadalso dove domina il tema del rifugio in campagna come ricerca di piú spontanea e ragionevole felicità, tema antico ben noto anche all'anacreontismo di Villegas, ma qui ripreso con un soffio nuovo di intima umanità.

Accanto a lui dobbiamo subito porre i suoi discepoli111 Iglesias e Meléndez Valdés. Il Rubió y Lluch giudicava superiore a Cadalso Iglesias112 ma superiore a tutti Meléndez Valdés113. È certo che per opera di questi iniziatori il gusto per l'anacreontica si diffuse a Iriarte, Forner, Trigueros, Sánchez Barbero, Noroña, Cienfuegos, Nicasio Gallego e via via ad altri poeti di venendo un vero e proprio genere di moda alla fine del Settecento e principio dell'Ottocento.

Meléndez Valdés ci rivela chiaramente l'idea ch'egli ebbe dall'anacreontica in una sua lettera a Jovellanos del 24 agosto 1776114 in cui commenta una serie di composizioni «anacreontiche» che Trigueros aveva pubblicato sotto il nome di Melchor Díaz de Toledo, presunto poeta del sec. XVI, senza peraltro che la sua finzione letteraria riuscisse ad ingannare alcuno. Il giudizio di Meléndez Valdés è nettamente sfavorevole poi ché egli trova che le composizioni di Trigueros sono troppo lunghe, quasi cantilene, senza varietà musicale, e che -soprattutto- hanno un contenuto estraneo allo spirito d'Anacreonte poiché sono satiriche e moraleggianti.

Meléndez Valdés voleva che l'anacreontica fosse breve, leggera e di contenuto gioioso, ricca di «amores, convites, beodeces» e pensava dovesse avere come modello solo Anacreonte, specie quello delle composizioni piú brevi, ché lo stesso Villegas gli appariva, nelle sue composizioni originali, piuttosto opaco.

Egli restò fedele a questo principio anche se -e fu   —40→   suo maggior merito- non si limitò a una rielaborazione dei temi meramente anacreontei ma piuttosto mirò ad impossessarsi insieme del suo spirito e della grazia del suo dettato, allargandosi a contenuti piú vari, in consonanza con il suo temperamento sensibile («yo tiemblo y me estremezco»)115 e la complessità del sentimento e del pensiero del suo tempo.

In effetti non sono molte le odi di diretta imitazione: il Colford che s'è particolarmente esercitato nella ricerca e confronto delle fonti, trovava che solo un'ode, la dedica iniziale A mis lectores, deriva da Anacreonte116. Altre odi derivano da Orazio: De la Primavera viene da Solvitur acris hiems grata vice veris et Favoni (I, 4); A Dorila viene da Eheu fugaces, Postume, Postume (II, 14) e parte di De mis deseos s'ispira a Quid dedicatum poscit Apollinem (I, 31); due derivazioni parziali si hanno da Ovidio117 e sparse un po' dovunque singole parziali reminiscenze. Scarso anche l'influsso diretto di Villegas118.

Noi aggiungeremo che Meléndez s'è ricordato anche di alcuni moderni poeti francesi come ad esempio nella Ode II El amor Mariposa119 che ha punti di contatto con L'Amour papillon del De Bernis120 o nel ciclo poetico de La inconstancia (che analizzeremo più avanti) che trae parecchi spunti dal Parny121.

Tuttavia in ogni caso si può notare che l'imitazione è in genere soltanto uno spunto d'avvío tematico: il contesto risulta però fondamentalmente originale e personale.

Nel solco della tematica tradizionale anacreontica   —41→   sono tutte le odi che cantano la giovinezza e i piaceri della vita nonché l'invito al godimento, come ad esempio Del vino y el amor122, A Baco123, De mi gusto124, De mis versos125, in genere brevi. Altre però si distinguono per un indugio prolungato nella descrizione come De un convite126 o La Primavera127 che trae spunto, come già osservato, dall'oraziana Solvitur acris hiems, ma ben piú ampiamente svolge la descrizione naturalistica.

Un piú vivo e soggettivo incontro con la natura si ha in De la nieve128 in cui l'anacreontico invito al bere è espresso nella prima e nelle ultime due strofi mentre le nove strofi centrali contengono una descrizione minuta e sentimentalmente commossa della nevicata.

In altre odi la natura diventa protagonista come nell'ode III A una fuente129 che non è semplicemente un quadretto idillico come quelli che tanto frequenti si trovano nell'Arcadia italiana e nei quali la natura è dal poeta riguardata quasi un oggetto artistico fatto per il suo cittadino godimento con ciò che di artificiale esso comporta, ma esprime una consonanza intima fra il poeta e l'armonia della natura di cui egli -contemplando- sente d'essere parte.

Di tono simile sono le due odi XX e XXI a La tortolilla130 che definirei virgiliane per la profonda umanizzazione che quivi la natura riceve.

Lo stesso dicasi per lo squisito El nido del jilguero131 e per A un ruiseñor132. Affiora anzi lo spunto polemico verso il mondo degli uomini che non solo non   —42→   vivono l'innocente vita della natura ma anzi la disprezzano. Nella citata ode A un ruiseñor, dice Meléndez Valdés:


Que los malignos hombres
Burlan de la inocencia
Y espónese a su risa
Quien su dicha les cuenta.



E in un'altra ode De unas palomas133, che é costituita da una commossa descrizione dell'assalto di un nibbio a un gruppo di colombe, il poeta rivela un chiaro intento simbolico:


¡Desvalida inocencia,
Siempre mísero blanco
Del poder fiero, siempre
De sus iras estrago!



Nella campagna vivono l'innocenza e la bontà soggette purtroppo a subire la violenza del malvagio.

Si può osservare che temi simili a quelli finora accennati sono da Meléndez Valdés svolti anche in forme metriche diverse dal settenario anacreontico. Per esempio fra le letrillas troviamo En un convite de amistad134, tematicamente vicina all'Anacreóntica XVI: De un convite135, e su tema simile troviamo un'altra letrilla, la XVI: El vino y amistad suavizan los más graves trabajos136. È segno della libertà di Meléndez Valdés di fronte ai generi che non costituiscono mai categorie rigide per lui, attento com'era nella poesia piú a ragioni interne che esterne.

Ma dove Meléndez Valdés dà poeticamente il meglio di sé nell'ambito del gusto anacreontico, è nel tema amoroso, galante. Anche qui si tratta di un iniziale spunto anacreontico (l'amore come espressione fondamentale   —43→   di vita e la ricerca della gioia) svolto in consonanza con il gusto e il costume del tempo. La sua galanteria è ricerca delle piú fini sfumature della sensibilità e del sentimento, tradotta in accurato studio stilistico.

Ne El consejo de amor137 il gioco galante d'amore fra il poeta e la sua bella, trova contrappunto e direi guida e modello in quanto avviene fra il vento e una rosa: bell'esempio di quella profonda connessione fra uomo e natura di cui già s'è detto.

Trionfa la grazia pura in composizioni come De los labios de Dorila138 e in El abanico139 dove non si sa se piú ammirare la capacità descrittiva che si traduce in ardite soluzioni linguistiche (il voluble abanico, il contorno tornátil del braccio, l'ámbito agradable del seno) o il sapiente equilibrio fra descrizione e psicologia poiché l'abile maneggio del ventaglio è condotto a rappresentare stati d'animo e atteggiamenti della donna amata. Simile giudizio vale anche per El espejo140 e Los hoyitos141142.

Ma i capolavori del genere galante sono a nostro avviso i «cicli» poetici de La Inconstancia143, de La paloma de Filis144 e di Galatea o la Ilusión del canto145.

La inconstancia conservata intatta da varianti in tutte tre le edizioni dell'opera di Meléndez Valdés (1785, 1797, 1820)146 e che il Colford ha definito147, con linguaggio preso a prestito dalla musica, «variazioni su un tema di Góngora» perché muove dal motivo gongorino

  —44→  

Guarda corderos, zagala,
Zagala, no guardes fe148



che Meléndez Valdés aveva apposto alla raccolta nella edizione del 1785, presenta la fusione di elementi galanti, vorrei quasi dire salottieri, con immagini di viva freschezza naturalistica. Per tentare di fare desistere Lisi dal suo fedele amore per Aminta, il poeta propone, nelle quattro odi, quattro rappresentazioni della natura, colta nella sua perenne incostanza, come modello alla giovane: il vento capriccioso, il ruscello inquieto, la farfalla volubile e infine tutta la Naturaleza nelle sue in numerevoli cangianti manifestazioni.

Cosí Amore


de la inconstancia nace
y en la firmeza muere;149



solo rispettando la legge naturale dell'incostanza, potrà Lisi essere felice.

C'è il sorriso malizioso che anima altre composizioni di Meléndez Valdés che abbiamo già esaminato e che ci riconduce a quell'edonismo sensuale diffuso soprattutto nella poesia leggera del Settecento francese (si pensi ad esempio, per restare nel tema, all'ode di Parny Aux infidèles)150 qui però temperato dal descrittivismo naturalistico che occupa la parte piú estesa dei componimenti e raggiunge finezze squisite.

Piú esteso è il ciclo de La paloma de Filis che si componeva di quindici odi nell'edizione del 1785 e subí aggiunte nelle edizioni successive fino a raggiungere nell'edizione della B.A.E. il numero di trentadue, piú una anacreontica-dedica151, anche se tutte appartengono alla giovinezza di Meléndez Valdés152.

  —45→  

Lo spunto è stato certamente offerto dal ricordo del celebre passer catulliano: cioè i giochi e le affettuosità di una colomba con la donna amata dal poeta, cui egli partecipa ma che talora gli sono spunto alla gelosia o all'invidia.

Non tutte le composizioni sono dello stesso livello ma ve ne sono alcune (come ad esempio le odi II, VI, XI, XIX) di straordinaria eleganza, che possono essere ricordate fra le cose migliori di Meléndez Valdés nel genere anacreontico: non condividiamo perciò il troppo severo giudizio di «monotonous» dato a queste odi dal Colford secondo il quale in esse non vi sarebbe «no evidence of any really deep feeling»153. Ci sembra in verità inopportuno cercare profondità di sentimenti amorosi di stampo romantico o naturalistico in queste settecentesche composizioni di genere galante.

Carattere narrativo ha il ciclo di sedici odi di Galatea o la ilusión del canto d'ambiente spiccatamente urbano e salottiero.

Il Colford ha indicato154 come fonte di uno dei componimenti del ciclo (l'Oda VII: El gabinete)155, Le cabinet de toilette di Parny156 e al gusto di questo poeta francese sembrerebbe potersi accostare non una poesia soltanto ma l'intero ciclo amoroso-galante, soprattuttutto facendo riferimento alle sue Elegies e, per la disposizione narrativa, ai suoi tableaux.

D'altra parte il Demerson ha trovato punti di contatto con la Nouvelle Heloïse di J. J. Rousseau, sottolineando inoltre come anche il motivo del canto che lega i componimenti fra loro (quasi sfondo e contrappunto simbolico, aggiungerei io, specie per il carattere illusorio attribuito al canto e posto in evidenza nello stesso   —46→   sottotitolo della raccolta) richiami a Rousseau come fonte157.

Non è improbabile che Meléndez Valdés conoscesse sia Rousseau che Parny e si sia liberamente ispirato alle due fonti: del resto altre se ne possono indicare, classiche158. A parte dunque le fonti che Meléndez sa,   —47→   come sempre, trattare con estrema libertà senza perdere in genuinità, è da sottolineare la coerenza delle composizioni che non solo tematicamente si uniscono a delineare narrativamente la vicenda d'amore, dal momento dell'accendersi della passione del poeta per la cantante, alla dichiarazione, al desiderio, al piacere soddisfatto, fino ai dubbi, alle suppliche, alla delusione, all'invettiva e all'abbandono che ridona la libertà, ma sono strettamente fuse nella tonalità, quasi che il canto fosse il protagonista: un incantesimo il cui effetto a poco a poco dilegua:


y amor que encendió el viento
cual viento se deshizo,159



come cioè lo spegnersi di una voce in un silenzio definitivo.

Il gusto anacreontico perdurò per tutta la vita di Meléndez Valdés e già s'è rilevato che odi anacreontiche egli aggiunge anche all'edizione definitiva preparata negli ultimi anni della sua vita e pubblicata postuma nel 1820. Alcune, come ad esempio quelle aggiunte a La paloma de Filis erano semplicemente odi composte in giovinezza ma non pubblicate nelle precedenti due edizioni; altre sono state senz'altro composte in età matura e segnano o un nostalgico ricordo dell'età in cui il canto sgorgava sempre felice e consolatore [Oda XXVI: A mi lira160, Oda LV: A Anfriso161] oppure un sogno d'eternità e gloria consegnato alla sua musa delicata ispirata da Bacco e Cupido (Oda LIX: A mi lira)162 o governata dal culto delle Grazie (Oda LVIII: A las Gracias)163.

In queste tarde composizioni, lo spirito anacreontico inteso nella sua piú aperta e gioiosa espressione,   —48→   lascia il passo a un atteggiamento piú raccolto e meditativo: sul filo dei tradizionali moduli formali s'inserisce, con nuovi piú profondi echi, il tema della saggezza del vivere nell'humilde medianía164, confortata dalla virtú (Oda LVII: De mi suerte)165.

D'altra parte lo spirito anacreontico si rivela, come già osservato, nelle letrillas, nonché nei romances e in molti sonetti. Ma quivi si mescola anche l'elemento piú propriamente idillico-pastorale che abbisogna di una particolare indagine.



  —49→  

ArribaAbajo- II -

Il tema della natura: illuminismo arcadico e riformistico


Il gusto per la poesia idillico-pastorale è comune a tutta la letteratura del Settecento europeo, ma si errerebbe se si considerasse in modo uniforme una produzione poetica che solo apparentemente è la stessa.

Il bucolismo dell'Arcadia italiana e quello dominante in Francia all'inizio del secolo consisteva in una artificiosa figurazione della campagna come sfondo idillico in cui i poeti, colti e «cittadini», trasferivano sé stessi a godere di un travestimento scenico e di una azione e recitazione piú o meno teatrale, svolta con un linguaggio a mezza strada fra il sottile e il semplice. Sulla scorta cioè dei tradizionali elementi, piú o men o teocritei o virgiliani, la campagna era pretesto per una evasione in cui la bella società si riconosceva nelle sue distaccate aspirazioni: era cioè un gioco letterario elegante e squisito che si prolungava anche in dotte disquisizioni teoriche. C'erano divergenze infatti su questioni prevalentemente stilistiche, poiché alcuni erano seguaci del classicismo rigido del Rapin, altri seguivano i dettami e gli esempi del piú aperto e moderno Fontenelle e cosí il problema della poesia pastorale veniva assunto nella allora tanto dibattuta querelle des anciens et des modernes166, ma, quanto al contenuto e alle finalità del   —50→   genere, minime erano le differenze e s'era tutti sostanzialmente d'accordo sulla convenzionalità degli elementi compositivi e la loro intenzionalità edonistica167.

Alquanto diversa la situazione dell'Inghilterra, meno legata a strutture razionalistiche di pensiero e piú aperta alle istanze di un empirismo che necessariamente limitava lo slancio dei processi d'idealizzazione e la non pericolosa avventura della fuga idillica. Cosí nello stesso Pope che s'era formato su autori francesi e che nel suo Discourse on Pastoral Poetry contamina Rapin con Fontenelle168, le Pastorals169 sembrano contraddire le pre messe teoriche, poiché il poeta nell'imitare i classici è piuttosto libero170 e nella insistente sottolineatura dei rapporti temporali (c'è, nelle quattro eloghe, un doppio legame di successione poiché ognuna corrisponde a una stagione dalla primavera all'inverno e l'ambiente e l'azione di ciascuna sono collocati in un diverso momento della giornata dal mattino alla notte) mostra di partecipare alla vicenda naturale come uomo che non la domina ma ne condivide la legge171. Insomma egli non guarda alla campagna come a una scena fittizia creata per un nostro svago, in ossequio a una esigenza psicologica, ma come a una realtà cui concretamente partecipiamo172.   —51→   D'altra parte in Inghilterra ci fu chi rifiutò ogni elemento della tradizione classicheggiante e si propose di modernizzare l'egloga sostituendo pastori e paesaggi convenzionali d'eredità greco-latina e contrappose alla mitologia classica il folclore locale173 o chi addirittura arrivò a comporre delle pastorali che parodiavano le forme tradizionali174.

L'ulteriore sviluppo della poesia pastorale nel Settecento europeo si caratterizzerà sempre piú per il diverso concetto della sua funzione: alla natura si va incontro convinti ch'essa è luogo di perfezione morale e cosí la campagna diventa il rifugio di chi vuol fuggire le convenzioni false della città e vuol ritrovare -piú prossima all'ordine della natura- una vita piú vera e piú piena, a cominciare dal sentimento dell'amore175. Le convenzioni mitologiche finiranno con l'essere abbandonate o divenire mera formula esornativa e la natura non sarà piú soltanto sfondo di vicende umane ma sarà cantata direttamente assumendo il ruolo di protagonista: in questo senso avrà capitale importanza l'opera di Thomson, cosí feconda di sviluppi per tutta la letteratura europea posteriore176.

  —52→  

Nella letteratura spagnola del Settecento, il tema pastorale, che nella prima metà del secolo vive a contatto con le esperienze estreme del Barocco177, cerca d'essere sollevato a nuova vita attraverso un piú diretto accostamento alla natura da parte dei poeti che operano verso la metà del secolo. Luzán compone con Leandro y Hero178 un «idilio anacreóntico», Porcel quattro «églogas venatorias» con il titolo El Adonis179, opere entrambe presentate alla Academia del Buen Gusto di Madrid; Cadalso è autore di una egloga, Desdenes de Filis180, e due si trovano nella poesia di Fray Diego González181, ma è solo con Meléndez Valdés che il tema idillico-pastorale prende un volto nuovo e capace di costituire una esperienza poetica profonda che entrerà nella letteratura spagnola come un vero e proprio modello e inizio di una tradizione.

Atmosfera pastorale troviamo nei giovanili romances che Meléndez Valdés inviò nel 1777 a Jovellanos accompagnati da una lettera, dicendo egli stesso d'averli composti nei suoi primeros años (alcuni nel 1771-72) sul modello di Góngora182 e che in parte il Serrano y   —53→   Sanz183 e in parte il Salinas184 hanno pubblicato. Si tratta di romances amorosos ambientati tutti in una scena campestre, dove i personaggi sono pastoras e zagales dai nomi classici: Amarilis, Galatea, Filis, Batilo, le case chozas, la piazza del villaggio s'offre al ballo rustico e il tema amoroso è trattato con mano leggera e vena malinconica: le sofferenze d'amore, il gioco degli sguardi dati e tolti che genera incertezze, gelosie, scontrosità, le semplici galanterie. La campagna è avvicinata con straordinaria simpatia e l'autore non disdegna farsi protagonista poiché è frequente l'uso della prima persona: anzi nei romances 8 (Donde el celebrado Tormes) e 10 (Sobre la menuda arena) della raccolta pubblicata dal Salinas, il protagonista porta il nome stesso della personificazione pastorale di Meléndez Valdés, Batilo, e nell romance 8 (come è suggerito dal titolo stesso) c'è il riferimento concreto al Tormes di Salamanca.

Su questa strada Meléndez Valdés procede e c'è tutta una serie di piú maturi esempi di romances a sfondo rustico che appartengono anch'essi al felice periodo salmantino e fra i quali ricorderemo Rosana en los fuegos185, cosí fine nella prima parte descrittiva ed esuberante di giovanile commozione nella parte finale dove il zagal vinto d'amore si dichiara con una sciolta letrilla alla bella Rosana, e quel capolavoro di grazia che è La mañana de San Juan186 dove Meléndez Valdés rende con straordinaria efficacia la vita di un villaggio in un giorno di festa187 e la partecipazione corale della popolazione al tripudio del cuore e dei sensi mentre solitaria   —54→   s'alza la voce discorde, melanconica, di un pastore che piange l'assenza della sua pastorella e ne teme l'abbandono. Altre composizioni di tono simile sono La zagala desdeñosa188, De la noche de los fuegos189 e i Romances 1, 2, 5, 6 della raccolta del Serrano y Sanz190. Il quadro bucolico compare anche nei sonetti, specie nei sedici piú antichi, quelli dedicati a Jovellanos nel 1776191, anche se qui si pone in minore evidenza, per la preoccupazione di Meléndez Valdés di rispettare le forme classiche del sonetto, componimento d'origine aulica e pertanto legato a una precisa e particolare tradizione stilistica: è significativo tuttavia il fatto che il poeta estremegno s'ispiri particolarmente a modelli sfiorati di bucolismo di Garcilaso, Góngora e Lope de Vega192.

Mà dove Meléndez Valdés meglio realizza il suo ideale idillico-bucolico è nelle Églogas. Abbiamo un primo abbozzo d'egloga già nel 1774193 in cui si finge un canto amebeo fra Batilo e Jovino, cioè dove accanto a sé Meléndez Valdés introduce l'amico Jovellanos: il tema cantato sono le delizie del soggiorno in campagna. Sviluppo di questo tema è la piú estesa e rifinita egloga intitolata Batilo che, composta dal poeta nel 1779-1780194, fu da lui presentata al concorso bandito dalla R. Academia Española per una composizione en alabanza de la vida del campo e guadagnò   —55→   il primo premio195. Questa lunga egloga è un po' la summa dei temi poetici che fino ad allora aveva no interessato il giovane Meléndez Valdés: l'amore, il desiderio di solitudine e riposo, la passione per il canto, il conforto dell'amicizia, il tutto ambientato e direi fuso nel paesaggio idillico che è stilizzato in forme proprie della tradizione bucolica ma che non trascura i particolari concreti di un piú preciso paesaggi o caro al cuore del poeta: l'Otea, il Tormes, cioè la felice Salamanca dell'industre ozio di Meléndez o il Betis della Siviglia che alberga l'amico lontano, il piú maturo e grave Jovellanos. Il tutto permeato da un senso di dolce compiaciuto in dugio sentimentale che non è semplice desiderio di conforto edonistico ma bisogno di ristoro morale:


No aquí esperanza o miedo,
Las tramas y falsías
Que saben los soberbios ciudadanos.196



Le stesse frequenti reminiscenze letterarie, soprattutto virgiliane (anche qui, come nel ensayo del 1774 c'è un movimento amebeo e c'è un preciso ricordo dell'egloga V di Virgilio nel canto di Arcadio e Batilo che gareggiano fra di loro e alla fine si scambiano doni) per dono ogni aulicità, assorbite come sono nella tonalità nuova in cui domina il profumo di una campagna còlta nella sua realtà autentica anche se attraverso il filtro di una sensibilità straordinariamente educata e scaltrita ma non certo soltanto convenzionalmente letteraria197. C'è invece una attenzione viva per gli oggetti e i particolari della vita rurale, accanto a un amore   —56→   profondo e religioso per le belle cose della natura: il bosco, la valle, la fonte, il colle legati da una legge superiore che richiama la mitica immagine dell'età dell'oro; e se non si ripetono piú i miracoli della favola antica sopravvive però l'innocenza che dà pace e dolcezza all'anima.

Vicino a questo mondo d'idillio che vive di un preciso sentimento morale è anche il tentativo drammatico di Meléndez Valdés: la commedia pastorale Las bodas de Camacho el rico che, su un piano proposto da Jovellanos, Meléndez Valdés iniziò nel 1778, compose con una certa lentezza198 e completò e rifiní per presentarla a un concorso bandito verso la fine del 1783 dalla città di Madrid e nel quale risultò vincitore. Al successo accademico non corrispose il successo teatrale poiché l'opera, rappresentata il 16 luglio 1784, non piacque al pubblico né fu ripresa sulle scene. Il Colford s'è occupato della commedia per quel che concerne le sue fonti letterarie, la versificazione e il contenuto che Meléndez Valdés trae dal noto episodio di Camacho del Don Quijote di Cervantes (II, 20-21) e adatta al gusto del suo tempo. Il Colford non giudica riuscita quest'opera so prattutto per il suo ritmo monotono e la lentezza dell'azione199. Può comprendersi come il dramma pastorale non incontrasse il favore del pubblico quando si consideri ch'esso fu indubbiamente concepito piú come poesia da leggersi che come azione da agire su una scena. E di ciò era certamente consapevole Meléndez Valdés che non fece ulteriori tentativi per farla rappresentare, ma non esitò a ripubblicarla nella raccolta delle sue poesie di Valladolid del 1797, in cui occupa l'ultima parte del II tomo, e poi a includerla nell'edizione definitiva delle sue opere, che sarà pubblicata soltanto postuma (Madrid, 1820), ove occupa la prima parte del III volume. Tuttavia a ben osservare non si può nemmeno, a nostro giudizio, affermare che l'opera manchi di drammaticità.   —57→   Si tratta però di un dramma fatto piú di sfumature sentimentali e rattenuto nell'espressione, qual cosa totalmente lontana dal gusto romantico o naturalistico (onde si spiega storicamente l'abituale giudizio negativo della critica): un dramma in cui i personaggi di origine romanzesca sono guardati dall'autore con un certo distacco, derivante dalla consapevolezza della finzione, ma non senza umanità anche se questa non vuol mai prorompere: il tono d'insieme è quello di un brioso gioco scenico, quasi di un ben mimato balletto (e proprio questa funzione di balletto d'accompagnamento sembrano avere i numerosi cori che sono tutti allegri inviti alla gioia campestre, composti con versi agili e leggeri, di ritmo ben scandito). Gli stessi personaggi di Don Quijote e Sancho partecipano di questo carattere fondamentalmente festoso anche se Don Quijote appare, come in Cervantes, il difensore dell'ideale della libertà di coscienza e interviene in favore di Quiteria per ché ella si liberi dall'imposizione paterna e sposi chi ama veramente, cioè Basilio, benché povero. A completare il caratter e festoso del componimento (non si di mentichi che il concorso era stato bandito dalla città di Madrid per celebrare la pace del 1783 e la nascita dei principi gemelli Carlo e Filippo) Meléndez Valdés introduce il personaggio di Petronilla che acquista una particolare funzione drammatica nell'economia del componimento e che alla fine sposa Camacho il ricco. Cosí si conclude in una atmosfera generale di allegria questa commedia pastorale in cui le passioni sono sfumate at traverso un linguaggio che di esse è piú che altro una misurata eco musicale. Al di là di questo elegante e aggraziato gioco si avverte tuttavia un impegno serio verso la rappresentazione di un mondo puro in cui l'uomo, attraverso il sentimento, conquista un ordine che è voluto dalla ragione stessa e non può non essere voluto da Dio, ordinatore supremo. Questo principio governa del resto tutto l'impegno di Meléndez Valdés verso la natura: la sensibilità è lo strumento che alla natura ci avvicina e che permette l'incontro con essa: noi cosí   —58→   riusciamo a poco a poco a decifrarla e la facciamo, col sentimento, nostra: è il nostro poetico modo di comprendere l'ordine superiore che governa il tutto e che i filosofi e scienziati spiegano seguendo invece la ragione. Ecco perché acquista tanta importanza in questa nuova poetica il descrittivismo: descrivere è insieme cercare e scoprire: attraverso la descrizione si raggiunge l'armonia con la natura che è condizione fondamentale della felicità dell'uomo. E cosí lo stesso anacreontismo, nelle sue forti istanze naturalistiche già da noi sottolineate, può legarsi alla poesia pastorale mentre l'edonismo arcadico acquista una dimensione piú ampia, assai diversa da quella del primo Settecento europeo: non si tratta di fare della natura il luogo del nostro svago soltanto ma di trovare in noi quell'elemento di ordine che invece ci accomuna con la natura, che si rivela come armonia nostra con il tutto. In tal modo una anacreontica come Las aves200, apparentemente legata alla galanteria convenzionale dei salotti del secolo, acquista un suo significato particolare per il profondo amore alla natura che si manifesta nel modo con il quale il poeta osserva e descrive l'agitato volo della tortorella e lo spensierato vagare d'altri volatili per ricondurli ai propri pensieri e sentimenti. Né Meléndez Valdés si fa scrupolo di rispettare i «generi» e i loro tradizionali contenuti: anzi egli mostra chiaramente di non dar troppo valore ai preconcetti schemi neo-aristotelici. Ad esempio lo stesso motivo della celebrazione della natura nella sua varia bellezza unita a uno spunto galante, compare anche nella Silva VII: Las flores201. Ma qui è piú forte l'impegno descrittivo (e ciò giustifica la scelta di un diverso metro che meglio s'adatta allo scopo, nel suo alternare il settenario con il piú lungo e pausato endecasillabo) e il motivo galante è racchiuso negli ultimi sette versi, quasi ad effetto, dopo che ben contoventun versi erano stati dedicati alla descrizione dei fiori e alla   —59→   celebrazione della loro bellezza, dono della rica naturaleza. Oppure, rompendo ogni schema tradizionale, Meléndez Valdés può, nel metro anacreontico, uscire completamente dalla tematica amoroso-galante o di celebrazione dei piaceri della vita, per darci una rappresentazione puramente naturalistica: ad esempio in Después de una tempestad202 il poeta è l'osservatore, posto al centro di una scena meravigliosa ch'egli descrive minutamente, ma con l'animo sospeso, sentendosi inferiore, incapace di rendere in verso tutto quanto i suoi occhi scorgono. Su questo piano l'anacreontica, il romance, la silva sono ugualmente impiegati: non all'a stratto e preconcetto «contenuto» del genere Meléndez Valdés fariferimento ma sceglie con libertà il metro per ragioni strettamente connesse con la sua ispirazione.

La natura non è soltanto bella e piacevole ma è anche utile: provvidenzialmente essa offre all'uomo quanto gli abbisogna: c'è sempre un respiro religioso nel modo con cui Meléndez Valdés ne osserva i fenomeni. Ad esempio nel Romance VIII: La lluvia203, questa viene invocata e descritta con una umanissima partecipazione gioiosa suggerita dalla consapevolezza che essa scende benefica a vivificare i campi assetati. Ogni aspetto del vario mutare delle stagioni è del resto visto con commossa simpatia: con una sua personalità Meléndez Valdés s'inseriva cosí in un tema caro alla poesia del Settecento204. Decisamente lontano dal gusto dell'Arcadia italiana (Rolli, Metastasio e altri) che nelle variazioni delle stagioni aveva visto l'occasione di diversi piaceri per gli uomini (derivandoli per lo piú da un'immagine artefatta, scenografica della natura), Meléndez Valdés è vicino piuttosto alla poesia delle stagioni di Thomson e   —60→   di Saint-Lambert. Egli conobbe Thomson sia direttamente205 sia attraverso una piuttosto libera traduzione francese206 e conosceva direttamente il testo di Saint-Lambert. Anzi fu il testo di Saint-Lambert (che nella prefazione ricorda Thomson) a fargli cercare l'opera dell'inglese207. Da Thomson Meléndez Valdés prese soprattutto il senso religioso della natura e la coscienza del compito rivelatore del poeta, mentre da Saint-Lambert prese l'aspetto piú propriamente utilitaristico della natura, cioè la consapevolezza ch'essa giova agli uomini e che ad essa gli uomini devono tornare per ritrovare la perduta felicità insieme con il benessere che è condizione della prima208. Per comprendere l'importanza e lo specifico carattere del nuovo orientamento di Meléndez, ci offre la possibilità di utili osservazioni il confronto fra due composizioni ispirate al tema della primavera: si tratta di una delle prime composizioni di Meléndez, l'Anacreóntica V: De la Primavera209, e dell'Idilio VI: La primavera210. Nell'anacreontica il tema   —61→   della natura che si rinnova è pretesto per introdurre il motivo fondamentale dell'invito al piacere tanto piú desiderato quanto piú forte è la consapevolezza della fuga cità del tutto. Ma nell'idillio il contrasto classico d'uomo e natura scompare di fronte a una attenzione portata soprattutto alle cose: c'è una ricerca di particolari precisi e minuti finché irrompe a metà del componimento il grido gioioso di celebrazione dell a forza creatrice della natura:


¡Amor, nueva vida
de todos los seres!211



per riprendere poi la descrizione festosa della primavera concepita come raudal de la vida, dispensatrice di beni, realtà cui pienamente partecipa l'uomo.

Il ritorno delle stagioni è tale che ciascuna è strettamente legata all'altra: se della primavera il poeta di ce che è sorgente della vita e preparatrice delle stagioni che la seguiranno, dell'autunno dice che


todas las estaciones
te sirven a porfía.212



E lo celebra con la stessa o maggior gioia: il piacere fa saltar de gozo il petto del poeta: la stessa rumorosa festa della vendemmia diventa il simbolo di questa letizia profonda che coglie l'umanità di fronte ai doni della natura. Il tema della vendemmia è ripreso in un altro   —62→   piú tardo componimento213 che suona come l'eco nostalgica di una stagione felice un tempo trascorsa a contatto con la natura; dopo la festosa descrizione della vendemmia il poeta conclude:


   Cuando yo estos dulces versos
cantaba a mi fácil lira,
en el ocio de mi aldea
en gloriosa paz vivía;
   fementido luego el hado
me arrastró a las grandes villas,
vi la corte y perdí en ella
cuanto bien antes tenía.



Sono versi della maturità del poeta, quando la vita gli aveva tolto molte illusioni ma non la fede che la vita semplice e operosa include un valore morale. D'altra parte la nuova valutazione della realtà naturale racchiudeva una considerazione positiva della vita, che a contatto di essa l'uomo svolgeva, e invitava a una meditazione piú profonda, impegnata in problemi d'ordine morale, economico, sociale e anche politico sospingendo quel grande lettore che fu Meléndez Valdés a sempre nuove e piú ricche esperienze214. E già in questa poesia stagionale è dato scorgere spunti e motivi che promuoveranno in Meléndez Valdés una vera e propria poesia sociale.

Attraverso il lavoro c'è riscatto sociale: il Romance XV: Los segadores215 è a questo rispetto una piú profonda interpretazione del motivo stagionale dell'estate. La descrizione è ancora minuta: ma non è soltanto il sentimento che avvicina la natura per cercare un'armonia   —63→   umana: interviene anche la mente per riconoscere il valore di quel lavoro cosí abilmente descritto:


de la honrosa agricoltura
resonad las alabanzas;
[. . .]
la inocencia ríe y canta
y el trabajo es pasatiempo
cuando el placer lo acompaña.



La varietà delle stagioni ha un significato perché è stato il freddo dell'inverno a preparare ora il trionfo dorato delle messi:


...un Dios bueno nos regala.
   Este es el orden que puso
con omnipotencia sabia
al tiempo que raudo vuela
con igualdad siempre varia.



Cosí nel Romance XXXV: Los aradores216 dove l'autore canta l'inverno, è ancor piú apertamente affermata la necessità delle stagioni e i doni benefici di tutte. A spiegare l'origine del trastorno aparente del crudo inverno, dice ch'esso deriva


del orden con que los tiempos
alternados se suceden,
durando naturaleza
la misma y mudable siempre.



Vi si riafferma il noble destino dell'agricoltore e si descrive con compiaciuta ammirazione la sua vita tanto diversa da quella viziata e viziosa del cittadino, governata da sani principi morali, condotta nell'amore della famiglia, protetta dalla alma paz e dalla inocencia,


vida de fácil llaneza,
de libertad inocente,
—64→
en que dueño de sí el hombre,
sin orgullo se ennoblece.



La partecipazione del poeta è profonda: direi quasi polemica, ché egli ha sperimentato il mondo cittadino, ne ha conosciuto i piú gravi vizi che sono quelli dell'invidia e della calunnia e li condanna aspramente esaltando di contro la vita della campagna dove


      ...un día y otro día
pacíficos se suceden
cual aguas de un manso río,
risueñas e iguales siempre.



Il romance ora esaminato richiama per consonanza di tema l'Oda anacreóntica XL: De mi vida en la aldea217, ove il poeta s'indugia a descrivere la gioia del suo rifugiarsi, di quando in quando in campagna,


las penas y el bullicio
de la ciudad huyendo,



per godere della bellezza armoniosa della natura, per ritirarsi -nella quiete- fra gli amati libri


do atónito contemplo
la ley que portentosa
gobierna el universo,



per intrattenersi umanamente con la gente semplice in cui


la igualdad inocente
ríe en todos los pechos.



Non è difficile scorgere dall'esame fatto il grande in flusso che su Meléndez Valdés ha avuto il pensiero di J. J. Rousseau: se -come s'è visto- Thomson e Saint-Lambert sono presenti, è soprattutto da Rousseau che Meléndez Valdés prende lo spunto per cantare il valore   —65→   morale della vita di campagna e per impostare una sia pur velata polemica con l'ordine sociale costituito218.

Dal tema delle stagioni a quello delle diverse ore del giorno, il passo è breve: nell'Anacreóntica VIII: A la aurora219, c'è, dopo la ricca e festosa descrizione, l'invocazione alla pace e all'innocenza mentre nel Romance XXIX: La mañana, la descrizione si fa ancora piú ricca e varia e il poeta canta la sua commozione di fronte al meraviglioso spettacolo del risorgere della vita. Nell'Oda XIII: El mediodía220 la descrizione precisa e insieme solenne del sole a mezzogiorno culmina in un vero e proprio inno celebrativo della natura:


   Mi alma sensible y dulce, en ver se goza
una flor, una planta,
el suelto cabritillo que retoza,
la avecilla que canta.
   La lluvia, el sol, el ondeante viento,
la nieve, el hielo, el frío,
todo embriaga en celestial contento
el tierno pecho mío,
   y en tu abismo, inmortal naturaleza,
olvidado y seguro,
tu augusta majestad y tu belleza
feliz cantar procuro;
   la lira hinchendo en mi delirio ardiente
los cielos de armonía,
y siguiendo el riquísimo torrente
audaz la lengua mía.



  —66→  

Nel Romance XXXIV: La tarde, la commozione di fronte allo spettacolo della natura che sembra, stanca per la sua incessante attività, volersi concedere un po' di riposo e abbandonarsi al sonno, prende profondamente il poeta che prova, allo scendere della notte, qua si una sensazione di orrore e paura: ma è uno sgomento suggerito dalla commozione eccessiva che succede al profondo benessere suggerito dallo spettacolo delle bellezze della campagna che


    me enajenan y me olvidan
de las odiosas ciudades
y de sus tristes jardines
hijos míseros del arte.221



Si tratta quindi in sostanza di un nuovo, diverso inno alla


liberal naturaleza,



al cui impulso il poeta s'abbandona. La stessa notte che suscita paura agli altri uomini, per il poeta è sorgente di positive emozioni: egli cerca di fuggire il popular ruido e desidera soltanto la dulce paz [Oda anacreóntica XLIII: De la noche222]: il canto dolente dell'usigno lo possa addormentarlo sin sustos ni recelos.

Da questa comunione intima con le cose e dalla coscienza del loro profondo significato per la vita dell'uomo, sulle orme di Rousseau, si sviluppa l'idea dell'innocenza felice dei primitivi il cui esempio deve essere di guida al riacquisto della felicità naturale. Il tema è chiaramente sviluppato nella Epístola V: A Gaspar González   —67→   de Candamo223 cioè all'amico che -dopo gli anni felicemente trascorsi insieme a Salamanca, dove Candamo era cattedratico di lingua ebraica -divenuto canonico di Guadalajara nel Messico, verso la fine del 1786, parte per la sua nuova destinazione. Il Poeta dopo avere, nella prima parte dell'epistola, lamentato la partenza dell'amico ed evocato con nostalgia le lunghe amichevoli discussioni che essi avevano intrecciato in torno al tema della virtú,


...depurando el oro
de la verdad de las escorias viles
con que el error y el interés la ofuscan,



oppure attorno al problema


del hombre y su alto ser, del laberinto
oscuro de su pecho y sus pasiones,



e dopo aver ricordato il calore


con que tú orabas en favor del pobre,



fino a provocare le lacrime del poeta:


y escuchándote yo, bañadas vieras
mis mejillas de lágrimas,



mostra di comprendere le ragioni piú profonde che spingono l'amico al grande viaggio:


la tierna humanidad, el vivo anhelo
de conocer al hombre en los distintos
climas do sabio su Hacedor le puso.



Siamo dunque nell'ambito di un interesse verso l'esotico tipicamente illuministico che si manifesta nella volontà e nel desiderio di avvicinare gli uomini da noi lontani, per riconoscerne le comuni origini, non per -romanticamente- evadere verso l'ignoto o lo strano.   —68→   Quel mondo lontano è il luogo ove vive ancora l'innocenza e che può insegnarci il per noi perduto significato della virtù, della pace, dell'onestà:


...Ve sus almas,
su inocencia, el reposo afortunado
que les dan su ignorancia y su pobreza.
Velos reír, y envidia su ventura;
lejos de la ambición, de la avaricia,
de la envidia cruel, en sus semblantes
sus almas nuevas se retratan siempre.
Naturaleza sus deseos mide,
la hambre el sustento, su fatiga el sueño.
Su pecho sólo a la virtud los mueve,
la tierna compasión es su maestra,
y una innata bondad de ley les sirve.



Ma il magistero di Rousseau va piú lontano, poiché in Meléndez Valdés c'è anche un concreto incitamento a un riformismo sociale che parte dal riconoscimento dell'uguaglianza di tutti gli uomini, senza distinzione di ceti: anzi si stabilisce polemicamente una contrapposizione fra la corruzione dei ricchi e la moralità del povero colono sfruttato. La necessità del suo riscatto è il motivo dominante di un'altra epistola, la VI: El filósofo en el campo224, che ci sembra perfettamente giustificato definire come un vero e proprio esempio di poesia sociale. Il vigoroso atteggiamento di protesta, suggerito dalla forza di una coscienza morale che si ribella, è evidente fin dai primi versi dell'epistola ove si contrappone l'ozio molle del cittadino all'impegno del poeta che affronta la vita piú dura della campagna, capace di con cedergli profondi insegnamenti:


miro y contemplo los trabajos duros
del triste labrador, su suerte esquiva,
—69→
su miseria, sus lástimas y aprendo
entre los infelices a ser hombre.



Il poeta non concede nulla all'idealismo perché sa che la nobile opera degli agricoltori, altre volte da lui idillicamente cantata, è dura fatica non adeguatamente riconosciuta e compensata:


él carece de pan; cércale hambriento
el largo enjambre de sus tristes hijos
escuálidos, sumidos en miseria,
y acaso acaba su doliente esposa
de dar ¡ay! a la patria otro infelice,
víctima ya de entonces destinada
a la indigencia y del oprobio siervo.



Con sferzante musa satirica, Meléndez Valdés si sofferma a descriverci l'opulenta mensa dei ricchi, la vanità del loro andirivieni di carrozze, il vizio, la lussuria,


esas empenachadas cortesanas
brillantes en el oro y pedrería
del cabello a los pies,



i teatri, i palazzi, tutto ciò che ha reso gli uomini vanitosi, superbi, insensibili al grido della miseria. Meléndez Valdés rivendica il principio dell'uguaglianza di tutti gli uomini:


...tu generosa
antigua sangre que...
...de héroe en héroe hasta tus venas corre,
de un rústico a la sangre igual sería?
[. . .]
...oh, cuánto, cuánto
el pecho se hincha con tal vil lenguaje!
Por más que grite la razón severa,
y la cuna y la tumba nos recuerde
con que justa natura nos iguala.



Soltanto nelle campagne è rimasta la virtú: soltanto qui c'è il culto della famiglia ed è assente la corruzione   —70→   morale che alberga invece fra i cittadini potenti dove accade che un padre


...la amable virgen
hostia infeliz arrastra al santuario
y al sumo Dios a su pesar consagra,
por correr libre del burdel al juego,



e una madre passeggia per le strade come una prostituta, o i figli e i nipoti si scagliano contro i genitori e i nonni avidi d'ereditarne i beni, oppure la sensibilità e il gusto acquistano forme perverse come nel culto reso agli istrioni o nel piacere dell'orrendo spettacolo del patibolo di cui va in cerca la damigella altrimenti schizzinosa. Al quadro fosco della degenerazione del ricco cittadino si contrappone il quadro sano della vita di una famiglia di contadini, buoni e sereni anche se infelici per il gravame di una amministrazione disumana:


¡Oh, si tan pobre no lo hiciese el yugo
de un mayordomo, bárbaro, insensible!



Eppure i contadini che


hasta de pan, los míseros, carecen,



hanno conservato con le virtú morali, un senso religioso della vita. Ma sono disprezzati:


¿Y estos mismos miramos con desdén? ¿La clase
primera del Estado, la más útil,
la más honrada, el santuario augusto
de la virtud y la inocencia hollamos?



Su di loro


su mano apoya el anhelante fisco;
la aciaga mole de tributos carga
sobre su cerviz ruda y el tesoro
del Estado hinche de oro la miseria.



Con questa epistola che termina con l'esaltazione del lavoro dei contadini che è poi quello (in armonia con   —71→   le allora dominanti dottrine fisiocratiche) che permette di vivere a tutta la società, Meléndez Valdés pone chiaramente il dito su una delle piú gravi piaghe della società del suo tempo. Egli mostra di ben conoscere le cause del retraso spagnolo. E lo addita chiaramente in un'altra epistola, la III, dedicata A D. Eugenio de Llaguno y Amírola, en su elevación al Ministerio de Gracia y Justicia225. Prima fra tutte l'ignoranza:


...La española
juventud llora, en su rudez sumida;
[. . .]
Dale maestros...
[. . .]
   Las casas del saber, tristes reliquias
de la gótica edad...
piden alta atención. Crea de nuevo
sus venerandas aulas; nada, nada
harás sólido en ellas, si mantienes
una columna, un pedestal, un arco
de esa su antigua gótica rudeza.



Meléndez Valdés che aveva combattuto nell'ambito dell'Università di Salamanca per un rinnovamento della stessa226, auspica qui una riforma generale effettiva che sottragga l'insegnamento a ogni residuo scolastico. Vorrebbe anzi che la riforma fosse cosí radicale da applicarsi agli stessi edifici, quasi a cancellare ogni traccia di questo passato ch'egli giudicava piú nocivo che utile ai fini della preparazione dei giovani227. Dopo la riforma dell'istruzione si pone un altro grave problema: quello della riforma della Giustizia. Meléndez Valdés,   —72→   magistrato (l'epistola è del 1794 e Meléndez già dal 1789 aveva scelto la via della Magistratura), era consapevole della deleteria importanza che aveva assunto nei tribunali il favoritismo e la corruzione: spezza egli dunque una lancia in favore di Jovellanos, di colui cioè


...que en noble
santo ardor encendido noche y día,trabaja por la patria, raro ejemplo
de la alta virtud y de saber profundo,



perché venga elevato a un alto posto di responsabilità e collabori con il neo-eletto ministro alla grande opera di ricostruzione, affinché l'ignoranza e la corruzione vengano allontanate dai tribunali spagnoli. Altre necessarie riforme sono da operare nel campo della Chiesa. Il discorso di Meléndez Valdés è volutamente vago:


...¡Oh, cuánto, cuánto,
aquí hallarás también!



Ma sappiamo228 che Meléndez Valdés auspicava una riforma radicale della chiesa spagnola, dalla quale avrebbe voluto togliere ogni sopravveste bigotta o superstiziosa per restituirla a maggiore dignità interiore. Sappiamo inoltre che voleva togliere agli ecclesiastici il potere ch'erano riusciti a stabilire sulla istruzione pubblica e che in genere egli era sostenitore della politica già attuata da Carlo III, cioè di riduzione della Chiesa a una attività puramente spirituale229. Giustizia è invocata   —73→   per il mísero colono costretto a supplicare un po' di pane a Dio, mentre dovrebbe averlo per diritto dagli uomini, dato che


su hollada profesión es la primera,
la más noble, la más útil.



C'è urgente bisogno di riforme in questo campo, riforme che portino il benessere a tutta la Spagna:


y tus decretos la abundancia lleven
a las provincias,



e alle sue lontane colonie dove gli indios, caduti nella pigrizia e in uno sterile abbandono, debbono, con savie leggi, potersi sollevare a buoni costumi e a una felicità purtroppo perduta. La mente di Meléndez Valdés comprendeva anche questo problema, che aveva già affrontato (1786) nell'epistola A Candamo230: l'innocente remissività degli indios crudelmente e ottusamente sfruttata:


...Si vieres al odioso fraude,
al impío despotismo, el brazo alzado,
sus días afligir, si a almas de hierro,
de su incauta bondad abusar vieres
y expilar inhumanas su miseria,
oponte denodado a estos furores.



Ma comprendeva anche che i problemi erano troppi e troppo grandi per poter essere subito tutti affrontati e risolti mentre alla sua mente desta e al suo cuore sensibile si presentava il dramma di tanti infelici sofferenti, bisognosi di un aiuto immediato: ecco il motivo che gli ispira la Epístola VI: A un Ministro sobre la beneficencia231, dove la beneficenza è sollecitata all'amico   —74→   in nome dei principi d'umanità che debbono reggere la vita e diffondersi a favore di tutti, cosí come


el astro del día sus tesoros
derrama liberal, el aura pura
esclarece, la tierra vivifica,
templa los hondos mares, y es fecundo
benéfico motor del universo.



Bisognerà dunque che il Ministro faccia


...al trono
subir ... la voz de la miseria,



poiché non basta essere giusto, come non basta essere saggio nella vita e eroico in guerra. Bisogna essere uomini ed uomo è soltanto


...aquél que sabe
llorar con el que llora,
condolerse de su suerte cruel.



Bisogna vincere l'insensibilità che è malvagità:


salgamos de nosotros; extendamos
a todos nuestro amor,



e bisogna sollevare l'infelicità degli uomini:


Ley es sagrada remediar sus males
según nuestro poder.



In armonia con il pensiero economico del tempo232,   —75→   il problema fondamentale da risolvere è per Meléndez Valdés il problema dell'agricoltura. A questo problema è tutta dedicata l'Epístola VII: Al Príncipe de la Paz233. L'occasione è offerta da una Carta patriótica a los Obispos de España que Godoy aveva inviato all'inizio del 1797, invitando i Vescovi alla diffusione nelle campagne del nuovo Semanario de Agricultura. Meléndez Valdés plaude a questa iniziativa che giudica l'inizio di un lodevole interesse per l'agricoltura da parte del governo, un irrompere delle luces del sapere, a fugare l'errore e l'ignoranza. È per lui un giusto premio questo fervore d'iniziative per una istruzione tecnica degli agricoltori, dovuto a quella parte dei cittadini ch'egli giudica i piú giusti e piú meritevoli. Si può sperare da questa iniziativa un aumento della produzione e della ricchezza: si può vagheggiare un rinnovamento della Castiglia:


   Los anchos llanos de Castilla, ora
desnudos, yermos, áridos, que claman
por frescura y verdor, verán sus ríos
útiles derramarse en mil sonantes
risueños cauces, a llevar la vida
por sus sedientas abrasadas vegas.



Cosí nel benessere e nella cultura,


   el labrador, que por instinto es bueno,
lo será por razón,



ed anche la sua fede religiosa migliorerà:


será su religión más ilustrada;



insomma i contadini potranno essere


hombres, no esclavos ya de una grosera
rudez indigna o de miseria infausta.



Nel lodare Godoy per l'iniziativa, Meléndez Valdés   —76→   ricorre anche a motivi personali e patetici: ricorda la propria umile nascita fra i contadini e come


jamás pudo sin lágrimas su suerte,
sus ansias ver, mi corazón sensible,



ricorda la comune origine estremegna, da una terra cioè d'agricoltori, ed invita, anche in nome di questa, il potente a occuparsi dei contadini che abbisognano di maggiori iniziative in loro favore: non basta dar loro un po' piú d'istruzione: il riscatto deve essere profondo e totale perché attualmente il contadino


doquier se vuelve entre cadenas graves,
sin acción ve sus miembros vigorosos.
Parece que la suerte un muro ha alzado
de bronce entre él y el bien; trabaja y suda,
y en vano anhela despedir el yugo,
el grave yugo que su cuello oprime.



Egli ha sete di terra che non può ottenere perché inique leggi la vincolano senza frutto (mesta, mayorazgo), creando assurde condizioni di privilegio:


busca la tierra do afanoso pueda
sus brazos emplear y ansia, llorando,
la dulce propriedad, que una ominosa
vinculación por siempre le arrebata;
no tiene un palmo do labrar, y en torno
leguas mira de inútiles baldíos.234



Né può sollevarsi dalla sua condizione d'infelicità poiché


sus hombros llevan la pesada carga
de los tributos.



Venga quindi per questi diseredati l'istruzione ma   —77→   non solo quella perché non si corra il pericolo che al contadino


...le abrís los ojos
para hacerle más mísero y que llore
de su destino la desdicha inmensa.



La giustizia vuole che s'ascolti il suo lamento e che si spezzi finalmente


...con diestra valedora
el tronco del horror.



Lo stesso tema è trattato anche in una lettera a Jovellanos235 che è un documento d'impressionante forza morale e insieme precisa diagnosi di una penosa situazione sociale. Meléndez Valdés parla della Castigla: «Yo estoy condenado a una tierra árida y miserable, donde no se ven sino campos, llanadas y lugares casi destruidos y paisanos abatidos y necesitados. La Castilla, la fértil Castilla, está abrumada de contribuciones, sin industria, sin artes y poco más o menos cual la tomarían nuestros abuelos de los Alíes y Almanzores. Casi todas nuestras provincias han adelantado; esta sola yace en un letargo profundo, sin dar un paso hacia su felicidad: su fertilidad misma aumenta la desidia de sus naturales y parece que, contentos con lo que casi espontáneamente les ofrece la naturaleza, nada más apetecen, nada más piensan que se pueda adelantar. La miseria es la más peligrosa de las enfermedades: ella abate el ánimo, debilita el ingenio, resfría el talento de las invenciones y degrada al hombre en todos sentidos». Prosegue soffermandosi a descrivere l'aspetto decrepito di città un tempo gloriose e la miseria di tutte «excepto un poco Peñaranda, que hoy hace tal cual comercio, pero que con más de 400.000 reales de impuestos no podrá sostenerse» e condanna l'«intolerable yugo de unas tasas tan insoportables».

  —78→  

Simili motivi si ritrovano anche nel Discurso I: La despedida de un anciano236 ove il poeta immagina che un vecchio, prendendo congedo dalla sua patria, evochi le glorie del passato contrapponendo ad esse le miserie del presente, pratiche e morali. Ancora una volta il contadino povero è posto a confronto con il ricco cittadino in un appassionato grido di protesta che coinvolge la stessa giustizia divina; mentre i potenti


...en la corte
en juegos, banquetes, damas,
el oro de sus estados
con ciego furor malgastan
y el labrador indigente
sólo, llorando, en la parva
ve el trigo que un mayordomo
inhumano le arrebata.
¿Son para aquesto señores?
¿Para esto vela y afana
el infelice colono,
expuesto al sol y la escarcha?
Mejor sí, mejor sus canes
y las bestias en sus cuadras
están. ¡Justo Dios! ¿Son éstas,
son éstas tus leyes santas?
¿Destinaste a esclavos viles
a los pobres? ¿de otra masa
es el pobre que el plebeyo?
¿Tu ley todos no iguala?
¿No somos todos tus hijos?
¿Y esto ves y fácil callas?
¿Y contra el déspota injusto
tu diestra al débil no ampara?



Ma la virtú e la ragione condannano tutto ciò come condannano l'incuria nell'allevamento dei figli, l'infedeltà dei coniugi, l'inesistenza della famiglia, l'interesse che   —79→   spinge a chiudere in conventi le figlie o maritarle male, per aumentaré il patrimonio del figlio primogenito.


¿Por qué estos bárbaros usos
que a naturaleza ultrajan?



Perché le leggi non rendono uguali quelli che la natura fece uguali? Perché il secolo, che pure risvegliò le luces, sopporta il culto sfrenato dell'interesse? Perché


la opulencia atroz, con vara
de hierro y sañuda frente
al pueblo agobia tirana?



Sono atroci interrogativi che muovono dal cuore di Meléndez Valdés il quale vede, deluso, non realizzarsi nella sua terra quei provvedimenti che per lui costituiscono la sostanza stessa dell'umanità e che vede invece realizzati in terre straniere. Nell'Epístola X: La mendiguez237, egli riprende un tema già in altre occasioni affrontato e dibattuto238 e pone davanti agli occhi degli spagnoli le realizzazioni fatte da altri popoli:


...¿Podrá el tardío
bátavo, allá en su suelo pantanoso,
el anglo odiado con su cielo umbrío
o el áspero alemán lo que ¡ay! en vano
el genio nacional, ansie afanoso?
¿Menos grande será, menos humano?
¿Ellos tendrán asilos, do segura
labor se apreste a la indigente mano,
do la doncella mísera, inocente,
gane en su noble dote su ventura,
do cierto abrigo a su flaqueza cuente
la edad caduca y la niñez cuitada,
do del saber y la piedad guiada,
la aplicación se instruya, y la pereza
—80→
tiemble del crudo azote la aspereza?
Tendránlos, ¿y acá no? ¿qué estrella impía
nos domina, señor? ¿dó está el sagrado
amor del bien y la virtud?



L'ardore commosso ch'egli porta a sostegno della sua causa in queste poesie, trovò un corrispettivo nell'impegno diretto verso le riforme, nella sua attività di magistrato: si può ricordare innanzitutto la dura lotta da lui sostenuta per la unificazione degli ospedali d'Avila che fu -come ha ben dimostrato il Demerson239- lotta di una illuminata coscienza civile contro la «routine» e l'interesse sordido, camuffato da pietismo e apostolato. Ma si ricordi soprattutto l'azione riformatrice da lui operata come uomo di legge. Nella sua qualità di fiscal egli non si limitò a operare perché la legge venis se applicata ma ogni qualvolta in essa trovava dei difetti o degli eccessi si sforzò perché venisse mutata. Cosí auspicò una riforma del sistema penale240, la riforma del matrimonio [che deve essere deciso dagli interessati e non può, con appoggio legale, essere predeterminato dai genitori241]. Propugnò il riconoscimento primario del valore civile, non religioso, del matrimonio242, la proibizione dei romances vulgares243, la riforma della istruzione244, la moderazione del lusso245, il miglioramento   —81→   dell'assistenza ai bisognosi246, l'incremento delle opere pubbliche247.

In lui è sempre prevalente l'interesse della società: il caso dell'uomo singolo colpevole di delitti lo può commuovere ma egli sa che è un commozione che deve dominare: per questo esige una condanna che è necessaria e per il rispetto della legge e come esempio per gli altri. Tuttavia ogni sforzo deve essere compiuto perché una piú giusta organizzazione della società e della legge impedisca il realizzarsi di delitti.

Alla base di questi atteggiamenti riformistici di Meléndez Valdés ci sono anni di meditazione ampia e varia che traspare dalla semplice osservazione dei titoli delle sue opere perdute (né manca la concreta azione personale: degna di ricordo soprattutto è la sua attività benefica a Zamora)248. Le Reflexiones sobre la Historia dovevano essere un assai interessante documento di pensiero di un uomo che alla storia credeva come testimonia questa sua dichiarazione: «A mí me gusta mucho estudiar de este modo, seguir una facultad desde sus principios, y aprenderla por vía de historia»249.

Giudizi sulla situazione della Spagna del suo tempo dovevano contenere le Cartas de Ibrahin250, mentre analisi specifiche di singoli problemi erano le Reflexiones sobre el lujo251, l'Ensayo sobre la propriedad y sus defectos en la sociedad civil252. Laddove qualche notizia ci è dato sapere de El Magistrado, poemetto didattico d'ispirazione occasionale253, basta il titolo per illuminarci   —82→   sul contenuto di un'opera di cui soprattutto è da lamentare la perdita perché doveva certamente costituire il ritratto interiore del «filosofo» Meléndez: si tratta de Mis pensamientos o reflexiones de un solitario sobre la moral, la legislación y la política254.

«Filosofo» Meléndez è anche in altre due poesie che vogliamo qui esaminare a completamento del suo ritratto di riformatore: una esalta il vero e l'altra condanna il fanatismo religioso che non è se non un volto dell'errore che al vero s'oppone; si tratta di A la verdad255 e di El fanatismo256. La verità è poeticamente chiamata «prole dichosa del alto cielo» in cui essa si finge essersi rifugiata, per evitare il mondo; il poeta l'invoca:


fácil desciende del excelso cielo
do te acogiste, abandonando el suelo
con vicios mil manchado,



ma al di là della convenzionale figurazione poetica, si scopre che per Meléndez Valdés la verità è essenzialmente una personale conquista della nostra coscienza interiore:


en mi constante seno,
un templo te he erigido,
do, de tu numen lleno,
te adoro, alma verdad, libre, si oscuro,
mas de vil miedo y de ambición seguro.



Il simbolo piú puro che possa personificare questa idea di verità è la storica figura di Socrate, cui il poeta dedica tutta la seconda parte dell'ode e che celebra come vittima dell'errore e della ignoranza umana che si fanno malvagità, ma vittima utile per avere additato a tutti i secoli futuri i danni del «fanatismo impío».

Nell'altra ode è sviluppato il tema del fanatismo. Meléndez Valdés allude al sentimento religioso deformato   —83→   in torbida intolleranza e cita esempi tratti dalle religioni lontane e poi si sofferma soprattutto sulla fede islamica che sospinse gli arabi alla conquista della Spagna; quando una torma di guerrieri si precipitò sul suo suolo


en la diestra la espada
y el Alcorán en la siniestra alzando,
Muere o cree, frenética clamando,



ma è evidente che la sua intenzione va oltre le specifiche citazioni: si comprende benissimo che quello che gli interessa è colpire il fanatismo a lui contemporaneo: cioè il concetto fazioso di religione che racchiude in piccoli interessi di casta, la grande idea di un «Autor infinito», di un «Dios del Universo», che si serve del nome di Dio per far gemere la terra


en odio infando, en execrable guerra,



che colmando


de mil pavorosas supersticiones



le coscienze, stringe in infelici catene gli uomini. Solo la conquista della verità «nuda en su pureza», potrà abbattere il «monstruo impuro».

Una «filosofia» dunque quella di Meléndez Valdés non astratta ma umanamente vicina a tutti i problemi della vita e che si pone come meta la felicità dell'uomo, di tutti gli uomini, avviliti dalla ignoranza, dalla paura, dallo sfruttamento dei potenti, dalla miseria morale, e bisognosi dell'aiuto di chi -avendo già trovato la luce- possa avviarli al riscatto. Una filosofia pertanto non dottrinaria o intellettualistica ma operante soprattutto attraverso il sentimento che scopre noi a noi stessi [si veda ad esempio la sottile analisi che del proprio intimo compie il poeta in un componimento «patetico» come l'Elegía III: La partida257] o tutti gli altri in n oi come in   —84→   Que no son flaqueza la ternura y el llanto258; il poeta ha saputo soffrire con «rígida entereza» in momenti per lui difficili: se oggi piange non è per viltà o debolezza:


Hoy por doquier que miro
en eterna amargura
hallo al mortal gemir; de mi ternura
mi llanto nace y por su mal suspiro;
que un dulce sentimiento
uniéndome a sus penas,
me veda ya el mirarlas como ajenas
y, hombre, los males de los hombres siento.
[. . .]
...el que olvidado gime
o en destierro ominoso
o a la calumnia y a la envidia odioso
tiembla al poder que bárbaro lo oprime,
siempre mi pecho abierto
hallarán a su pena,
siempre mi lengua de consuelos llena,
y mi rostro de lágrimas cubierto.



Lagrime che sono espressione d'umanità, segno di una compartecipazione generosa alla vicenda dell'uomo che nella natura si iscrive.

Dopo l'abbandono gioioso e fiducioso alla natura, la meditazione sul suo vario aspetto e sulla sua utilità, la accettazione delle sue leggi come guida per l'uomo che in essa deve riconoscersi o potenziarsi, l'ulteriore impegno di Meléndez Valdés è quello di decifrare le ragioni ultime della vita umana: egli s'apre cosí ad una poesia di contenuto etico e metafisico.



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